Danielewski, l’homophily e il web

Mio zio ha letto "Casa di foglie". E in rete si parla di "omofilia".
Che c’entra? Non tanto, solo un collegamento nella mia testa. Che spiego.

Partiamo dall’ homophily. L’articolo su D di Repubblica riprende uno spunto partito da The Atlantic e discusso dai guru del web. Il succo: la tendenza a leggere siti e blog che la pensano come noi e ci assomigliano è un limite all’accrescimento individuale e all’utilizzo delle potenzialità del web.  Sul confine tra il "chi si assomiglia si piglia" e "l’avere i paraocchi", insomma.
Sinceramente mi pare un po’ una scoperta dell’acqua calda, raccontata anche una certa superficialità (almeno per ciò che ho letto).
Voglio dire, che senso ha fare questa osservazione riferendosi in generale alle "frequentazioni" di una persona sul web? È ovvio che ci sono siti e blog che si leggono per divertimento, socialità ed evasione ed altri che si leggono per informarsi, capire, conoscere. La tendenza "omofiliaca" non è certo un problema per il primo gruppo di casi, e vorrei sapere se i dati che mostrano tale tendenza fanno questa distinzione.
E d’altra parte, quando si critica e si discute qualcosa, e si dice la propria opinione – su una posizione politica, su un fatto, su un film, su un pettegolezzo – credo che sia normale leggere anche le posizioni contrarie alla propria (sennò come si fa a confutarle?),  e ciò lo si fa proprio sul web, dove è possibile aprire con un click la pagina di un giornale odioso o di un blog schierato su posizioni diverse dalle nostre (anche se magari si parte dal blog che ha opinioni affini alle nostre.

Il post di Sofi sull’homophily, però, la prende più larga, e parla di come l’uso massiccio di media come il web possa cambiare le persone più di quanto esse stesse sospettino. E cita Nicholas Carr (su "The Atlantic") che confessa, dopo 10 anni di uso continuo della rete, di non riuscire a leggere un libro per più di 5 minuti senza deconcentrarsi.

"Casa di foglie"
Qua spunta il collegamente tra la discussione sull’omofilia e il romanzo di Mark Danielewski. Infatti mio zio, come molti altri, trova che le acrobazie di impaginazione, così abbondanti in quel libro, siano un po’ un giochetto, una cosa che dopo un po’ stanca.
Bene, per farla breve, io credo che il fatto che io invece abbia apprezzato davvero quella caratteristica di "Casa di foglie" possa dipendere dal fatto che da 10 anni leggo pagine web (senza peraltro aver subito alcun calo della capacità di leggere tomi cartacei). Insomma, io ricordo la fatica e il fastidio che provavo 10 anni fa nel leggere le pagine dei portali, dei giornali e di molti siti: le cose da leggere stavano sparse qua e là nella pagina, in blocchetti e box con font e colori diversi. E poi c’erano i link. Se volevi vedere quel che c’era in quella pagina era molto faticoso, all’inizio.
Ecco, "Casa di foglie" ha molte pagine fatte così, con blocchi diversi di testo e paragrafi distinti ma paralleli giustapposti nella stessa pagina(*). Questo aspetto cozza con la normale e consolidata abitudine a leggere una riga dopo l’altra, un discorso dopo l’altro – in serie, non in parallelo. Danielewski invece ha introdotto nella scrittura letteraria, in modo abile e consapevole, l’effetto destabilizzante e "antinarrativo" di un’impaginazione che costringe a leggere in modo diverso.

In sostanza, sospetto che si possa leggere un romanzo come "Casa di foglie", senza essere buttati fuori ad ogni pagina dalla "suspension of disbelief" e dal pathos narrativo, grazie all’abitudine a leggere sul web. Del resto il romanzo di Danielewski, almeno secondo la leggenda, è nato sul web.

(*) Il romanzo successivo di Danielewski, "Only revolutions", fa un uso ancora più estremo dell’impaginazione: forse eccessivo, non so: non sono riuscito a leggerlo ancora.

3 commenti su “Danielewski, l’homophily e il web”

  1. http://senza

    [..] Messa da parte la Bellezza come argomento monotematico dei post dell’ultima settimana, torno a occuparmi di varie ed eventuali. Oggi una bella discussione nella blogosfera riguarda l’articolo pubblicato dalla rivista D che esce con la Repubblica di sa [..]

  2. Anch’io ho letto l’articolo su D. E un altro su Internazionale. E un altro o più di uno sul tema “Google rende stupidi?”

    E la mia risposta è “Se sei già stupido non dare la colpa a Google”.

    Casa di foglie invece l’ho sempre guardato con sospetto. Primo per l’impaginazione (eh sì), secondo perché mi hanno detto che fa paura.

    Però l’ho regalato. Ma non mi pare che mi abbiano ringraziato più di tanto.

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