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Un premio bletterario

Riguardo all’utilizzo del web come canale di diffusione della letteratura ci sono in corso diversi thread su vari blog (qui, qui, qui eccetera).
Trovo invece qua un’idea interessante (l’ho trovata su indicazione di Booksblog). Non tanto originale, però forse efficace.
In pratica è un comune premio letterario riservato a narrativa ‘derivata’ da blog:
The Lulu Blooker Prize. I proponenti americani chiamano "blooks" i libri così prodotti. Più chiaramente: "A blook is a book with content that was developed in a significant way from material originally presented on a blog, web-comic or other website. This material includes the website’s characters, themes, ideas or outline that ends up getting published as a printed book." L’iniziativa è promossa e sponsorizzata da Lulu, ovvero la principale azienda americana di print-on-demand (che così ovviamente si pubblicizza).

Mi chiedo se una roba simile sia mai stata fatta in Italia, dove di blooks se ne contano già un tot.

E’ bene saperlo

I due migliori scrittori italiani (viventi) sono
Michele Mari
Antonio Franchini.
Completamente diversi tra di loro, ma ugualmente una spanna sopra a tutti gli altri.
Forse sarebbe il caso di dire anche perché, ma ora non ho voglia.

(a sinistra Mari, a destra Franchini)

mari-franchini 

La Letteratura secondo Grass

Günter Grass, intervistato da LeMonde sulla letteratura di oggi e i suoi scopi, dice alcune cose valide anche fuori dalla Germania. (I neretti sono miei.)

Si la littérature a un effet, avec retard sinon c’est "de l’agit-prop", c’est de faire ressurgir ce qui a été perdu, non de le reconquérir mais de le remettre au jour alors qu’il risque d’être enfoui sous le poids du passé et de la politique. "La littérature est un antipoison contre l’oubli", dit le prix Nobel 1999. Depuis Die Blechtrommel (Le Tambour, Seuil, 1961) jusqu’à Im Krebsgang (En crabe, Seuil, 2002), il a, dans le style du roman picaresque qu’il revendique, voulu écrire l’histoire d’en bas, du point de vue des perdants et des vaincus ­ "La victoire rend idiot", affirme-t-il. Il se réfère volontiers au Simplicissismus de Grimmelshausen. Ce roman du XVIIe siècle, le premier qui ait compté en langue allemande, décrit la vie quotidienne pendant la guerre de Trente Ans mieux que tous les ouvrages scientifiques. Certains critiques de gauche ont reproché à Grass d’avoir, dans En crabe, présenté des Allemands, embarqués sur le paquebot Wilhelm-Gustloff qui fut envoyé par le fond par une torpille soviétique en janvier 1945, comme des victimes de la guerre, brisant ainsi un tabou de la gauche allemande. Grass assume : "Oui, des victimes de leur propre histoire, dit-il . La génération 68 ne voulait pas en entendre parler. A juste raison, elle a protesté contre la génération de ses pères qui s’était tue. Mais elle ne voulait pas non plus prendre en compte ce que cette génération, par sa propre faute certes ­ – c’est elle qui a porté Hitler au pouvoir ­ – avait souffert."
[…]
Dans les années 1980-1990, les jeunes auteurs allemands ont essayé de se détourner de l’histoire. Ils écrivaient une littérature que Grass qualifie de "nombriliste" ­ "à trente ans et moins, ils rédigeaient déjà leur autobiographie". La réunification leur a apporté une nouvelle thématique. Les Allemands n’échappent pas au passé, sous une forme ou sous une autre. La confrontation est permanente, comme la tentation de tirer un trait. "Bien sûr, mes petits-enfants sont plus sûrs d’eux que mes enfants, y compris à l’étranger, en tant qu’Allemands, explique-t-il. Mais la discussion sur le passé remonte, de génération en génération. Et je considère que c’est un bien. On peut dire que nous n’avons pas le choix. La défaite a été telle que nous ne pouvons pas faire autrement. C’est peut-être une ironie de l’histoire que l’on n’arrive à une analyse de son propre comportement que grâce à une défaite aussi totale. Quand je pense que les puissances victorieuses, qui ont des crimes beaucoup moins graves à se reprocher, par exemple le colonialisme, refusent de les voir, c’est un scandale.
"

Uno spunto per tutti gli scrittori

  Avrei una proposta operativa per tutti gli scrittori in attività.
Dunque. Ho letto questo articolo sul New York Times in cui l’autore, James Atlas, parla della diffusione della letteratura biografica in UK. Nel Regno Unito, pare, le biografie sono un genere assai popolare; enormemente più popolare che negli USA. In UK si scrivono biografie anche, per dire, sui parenti dei personaggi storici minori o di scrittori assolutamente dimenticati; ci sono autori specializzati in biografie che godono però anche di notevole considerazione come letterati. come scrittori.
Così Atlas descrive il settore Biografie della letteratura inglese, e poi spiega come mai, secondo lui, nel mercato editoriale americano le cose vadano diversamente.
Negli Usa infatti le biografie pubblicate sono forse un decimo di quelle britanniche ("We lack the biography gene"), e tendono ad essere monumentali studi-fiume. Come mai? Secondo l’articolista, gli inglesi hanno il vantaggio di vivere in un ambiente culturalmente e geograficamente compatto, in continuità con la lunga storia di quel paese. "It may be that America is too amorphous, too diverse, too sprawling in its sheer immensity to produce biographies on the human scale of English biography", dice Atlas.
E vabè. E in Italia [alla proposta per gli scrittori ci arrivo, calma], il ‘biografismo’ come va? Mah, direi che il genere è praticato e letto con moderazione. Quelle collane ben rilegate con le apologie delle vite di personaggi storici gloriosi ed eroici (ce n’era una di Dall’Oglio, ricordo, perfetta per adornare gli scaffali dei salotti piccolo borghesi) mi pare siano sparite; restano le opere degli storici e quelle dei giornalisti (che talvolta sono biografie in istant book), nonché le finte autobiografie dei personaggi che sfruttano il momento di successo per farsi scrivere da terzi la loro storia, a vantaggio dei fan. I biografi-romanzieri di professione credo siano inesistenti, su questi lidi (non lo so, in realtà: da lettore non frequento il genere).
Invece in UK, dice l’articolista americano, grazie appunto anche a questa omogeneità e compattezza culturale, i biografi producono opere avvincenti e di larga diffusione perché sanno identificarsi col personaggio che biografizzano; scrivono biografie come fossero autobiografie ‘fantastiche’. Si comportano come quei filologi che postulano la non raggiungibilità della fonte originale (cfr. Canfora, "Il copista come autore") e che analizzano col proprio sapere le forme trasformate dei dati attraverso la storia della loro tradizione, del loro essere tramandati. In sostanza, quei biografi inglesi scrivono storie plausibilmente romanzate; e ci riescono, pare, grazie alla loro profonda conoscenza della propria storia, della propria cultura, del proprio mondo.

Bene. Allora, pensavo, tutti gli scrittori di oggi così profondamente immersi nel proprio presente e nella propria prospettiva  soggettiva, ma perchè non fanno un passo oltre e non scrivono biografie di personaggi reali – o plausibili? Chiaro che avanti a tutto ci vuole la capacità di scrivere e la consistenza di ciò che si vuol dire; sennò viene fuori uno schifo. Per esempio – dico così a caso – una storia con protagonisti Carlo Rubbia, Aldo Busi, Camillo Ruini e un tassista romano; oppure Carmelo Bene, Pasolini e Paolo Poli; o magari Gene Gnocchi (oggi), un azionista Parmalat, Paolo Nori e i loggionisti del Regio. Cambiando i nomi? Sì, cambiando i nomi, ma anche no: qualche querela non farebbe male, se il testo ha dei meriti (aiuta a superare i problemi di distribuzione, per dire).
Sì, so che opere di narrativa con improbabili incontri di nomi noti ci sono già (c’è chi ha messo in una storia Padre Pio e Eva Kant; o chi ha fatto apparire Cary Grant in un plot contorto; o chi ha abilmente manovrato grandi intellettuali del passato quali Benjamin, Bloch, Gadda e Tzara); ma la cosa che mi sono immaginato è di leggere una storia di oggi, con personaggi di oggi, che non sia una parodia di cronaca o di giornalismo, che non si appoggi solo ai nomi che adopera; bensì sia fiction, in tutto e per tutto. Bene, io la butto lì. Non so scrivere.

L’estensione del dominio della recensione

Ripesco una specie di recensione scritta nel 2001 riguardo a L’estensione del dominio della lotta di Houellebecq. Cose di newsgroup, ma non son mai stato prolisso, quindi si può rileggere.
I 4 anni trascorsi si vedono eccome (infatti mi fa male la schiena, e 4 anni fa proprio no – sigh). Direi che un po’ di cose son cambiate, eh sì. E probabilmente il romanzo di MH apparirebbe oggi ancora più datato.

Già in vendita il prossimo libro di Wallace

  Consider the lobster and other essays, il prossimo libro di David Foster Wallace, è già in circolazione in forma di bozze rilegate, copie per il lettore, versioni non definitive. Qui, per esempio, è in vendita un "advance sampler" (il che richiama alla memoria il primo racconto di Oblivion, Mr.Squishy ). Anche su eBay sono già transitate diverse copie; questa è all’asta al momento, ma bisogna prima chiedere al venditore se spedisce fuori dagli USA.
Ovviamente la cosa interessa fanatici collezionisti e/o mercanti speculatori.

Tre post-pynchoniani che usano la scienza: Powers, Vollmann, Wallace

La letteratura inutile/2
Neanche a farlo apposta, appena scritto il post sull’intervista a George Steiner – nella quale il grande critico invita gli scrittori di oggi ad occuparsi di più del progresso scientifico e tecnologico – mi capita sotto gli occhi un lungo saggio del critico americano Tom LeClair che riflette sull’influenza di Thomas Pynchon sulla letteratura americana contemporanea attraverso l’analisi delle opere di tre autori dichiaratamente debitori verso lo scrittore di Long Island:
Richard Powers, William Vollmann e David Foster Wallace.
Questo lungo articolo, che è del 1996, dice tante cose; ma sottolinea soprattutto la formazione scientifica di Pynchon e la sua capacità di usare le sue conoscenze nella creazione letteraria (a partire da "L’incanto del lotto 49") in un modo mai visto prima. E Powers, Vollmann e Wallace, benché non abbiano una formazione scientifica analoga a quella di Pynchon, secondo LeClair hanno scritto le loro opere principali tenendo presente anch’essi il ruolo della cultura scientifica nella complessità del mondo contemporaneo, superando il concetto delle "due culture". Nozioni piuttosto precise di fisica, informatica, economia, matematica, ecologia etc. sono elementi non marginali di "Infinite Jest", di "You bright and risen angels"(*), di "The Gold Bug Variations" (e Wallace ha persino scritto un testo divulgativo di matematica: "Nothing and more: a brief history of infinity"); ma ciò che è importante – e che dovrebbe piacere a Steiner – è il fatto che in queste opere le conoscenze scientifiche e tecniche sono integrate nella scrittura e nella narrazione letteraria; non sono oggetto della vicende o elementi dell’intreccio; è in tal modo che quei tre ponderosi romanzi riescono a scrutare nella contemporaneità e nel ruolo che hanno oggi (e domani, a meno di cataclismi non impossibili) la tecnologia e la scienza in un modo particolarmente acuto.
Naturalmente ci sono altri scrittori americani (e non) che hanno usato le conoscenze scientifiche nella narrativa prima dei Tre suddetti: LeClair cita DeLillo, Heller, Gaddis, Coover e altri. Ma ciò che lega Powers, Wallace e Vollmann a Pynchon – questa almeno è la tesi di LeClair – è il fatto di essere stati immersi nella tecnologia fin dai loro esordi – a differenza di DeLillo & co. – per effetto della loro appartenenza anagrafica all’Era dell’informazione; così come Pynchon ha avuto la sua formazione letteraria avendo già conoscenze scientifiche approfondite. questa almeno è la tesi di LeClair. Ma stabilire una genealogia letteraria non è così importante..

Ciò che mi chiedo invece è se ci sono autori italiani che abbiano saputo descrivere un percorso analogo. A me non ne vengono in mente, ma magari non li conosco.
Se però non ce ne sono, come mai? D’accordo che in Italia persino Internet è rimasta a lungo un oggetto quasi misterioso per il mondo umanistico, però ora non dovrebbe essere così; anzi, ora gli scrittori fanno uso larghissimo delle risorse della rete. Però probabilmente la usano senza sapere esattamente di cosa si tratta; e i ciò vale ancora di più per le altre tecnologie rivoluzionarie che hanno trasformato e trasformeranno quel che ci sta attorno.

(*) qui mi affido a ciò che dice LeClair, dato che di Powers non ho letto niente – rimedierò.

Steiner e la letteratura inutile

steinerpicsu Repubblica di ieri George Steiner risponde ad alcune domande sulla letteratura e la scienza, mostrando – e motivando – ancora una volta la sua poca considerazione per la letteratura di oggi.
su quello spunto, qualche considerazione.
il confronto-scontro tra cultura umanistica e cultura scientifica è in voga da quasi un secolo, però, appunto, non tramonta. ed è giusto che sia così, vista la sempre crescente presenza della tecnologia nella società occidentale (e non solo) e la parallela carenza di senso che tale presenza porta con sé. il conflitto è del resto testimoniato dalla ignoranza in materia di scienze che non sembra affatto ridursi; nonché dalle ininterrotte voci di protesta contro il presunto predominio della cultura scientifica (un paradosso, in effetti).

ma non voglio allargare troppo il discorso. prendo un passo dell’intervista a Steiner: "L’opinione, qui a Cambridge, è che siamo prossimi all’apertura delle ultime tre grandi porte. La prima è quella sulla creazione della vita in vitro: le chiamano molecole replicanti. Poi c’è la chiave della nascita dell’universo: secondo Hawking stiamo per conquistarla. Infine la coscienza: Crick sostiene che la possibilità di dire "io" è un fatto chimico, che riguarda la sistemazione delle molecole di carbonio attorno alle sinapsi. Di fronte a queste tre porte, che senso ha un romanzetto inglese su un adulterio a Londra? Quando si riuscirà ad impiantare una memoria nuova nei malati di Alzheimer si modificheranno le nostre concezioni di responsabilità, identità, parentela… Se fossi uno scrittore cercherei di occuparmi di questi temi".

ora, è evidente che la quasi totalità degli scrittori *non* si occupa di quei temi (tocca pensare all’Houellebecq delle Particelle elementari e, a quanto ho capito, a quello dell’ultimo "La possibilità di un’isola"). del resto gli scrittori non hanno la preparazione per trattare quelle questioni; o anche quando ce l’hanno preferiscono decisamente parlare di cose pressoché opposte, anche perché i temi imposti all’attenzione dei singoli, letterati compresi, sono quelli veicolati dai mass media, i quali di questioni scientifiche si occupano ben poco.

chiaramente non penso affatto che parlare d’altro, in letteratura, significhi fare letteratura insignificante; ma è una cosa vistosa il fatto che, di fronte ad una così massiccia e ramificata presenza della tecnologia – povera in sé di senso -, la letteratura abbia rinunciato a parlarne – e a provare a darle senso.

Jannis Kounellis, qualche anno fa, provò a proporre l’idea di dare all’arte il ruolo di portatrice di etica per l’economia. l’economia ovviamente se n’è fregata altamente, ma non per questo l’idea era sbagliata.

barth, erickson, baker etc.

    ho fatto un piccolo stock di letteratura USA contemporanea:
Donald Barthelme, "Atti innaturali, pratiche innominabili", Minimum Fax
John Barth, "Fine della strada", Minimum Fax
Nicholson Baker, "L’ammezzato", Einaudi
Jonathan Lethem, "Men and cartoons", Minimum Fax
Steve Erickson, "Il mare arriva a mezzanotte", Frassinelli
Steve Erickson, "Arc d’X", Fanucci
dei libri di barth e barthelme ho già letto dei capitoli in originale. gli altri sono suggerimenti incrociati.

d’oltreoceano tanta roba, d’oltralpe solo houellebecq. bah.