Il PD e il referendum-suicidio

Tra le molte fesserie perpetrate nella fase costituente del PD c’è quella di aver inserito nella sua Carta dei valori la cosiddetta vocazione maggioritaria del partito. È un’espressione ambigua (come gran parte di ciò che sta scritto in quel documento) che però ben si combina con l’altra clamorosa fesseria che va imputata a Veltroni e ai suoi dirigenti, cioè il “partito leggero”.

La “vocazione maggioritaria” nella Carta dei valori è un errore per due ragioni: primo, non è un concetto che può essere uno dei valori fondanti di un partito, quindi è assurdo e strumentale inserirlo nella Carta dei valori (puoi parlare di democrazia dell’alternanza, nella Carta dei valori; di valore della sintesi; non di una cosa sostanzialmente tecnica come il maggioritario; neanche sciroppando il concetto con retorica nonsense);
secondo, in una situazione come quella italiana, con l’anomalia Berlusconi e la sua spinta verso un regime demagogico, il modello anglosassone – bipartitismo, alternanza e maggioritario – non è realizzabile, al momento. Manco a parlarne.

Questa era una premessa. (Si può stare dentro il PD e non condividere punti del suo statuto. Ecché!)

Ma era sul referendum che volevo dire due cose.

Il segretario Franceschini ha sposato la richiesta di effettuare il referendum insieme alle Elezioni europee, ed ha lanciato una campagna in tal senso che denuncia lo spreco di denari pubblici che si avrebbe effettuando il referendum la domenica successiva alle Europee (come chiede la Lega). Tale richiesta è venuta anche da aree di minoranza del PD, come i “giovani” Scalfarotto, Civati, Sofri etc.

Bene. La legge elettorale che uscirebbe dai tre quesiti del referendum (vincendo i sì, chiaro) è un maggioritario secco, alla Camera, e un maggioritario regionale, al Senato. Ovvero, il partito che prende più voti a livello nazionale riceve la maggioranza assoluta dei deputati (il 55%, art.9 comma2); in ogni regione, il partito che prende più voti riceve il 55% dei senatori di quella regione. Non sono previsti premi di maggioranza per coalizioni di partiti (questa è la principale modifica introdotta dal referendum). Restano le soglie di sbarramento, 8% e 4%, ma si applicano ai singoli partiti e non alle coalizioni.

Nel quadro politico attuale, se si votasse con la legge che uscirebbe dal referendum, il PdL avrebbe perciò sicuramente la maggioranza assoluta alla Camera, anche senza la Lega Nord. Al Senato, invece, Il PdL potrebbe avere o non avere la maggioranza assoluta da solo; ma quasi sicuramente la avrebbe (specie dopo la vergognosa operazione di propaganda legata al terremoto in Abruzzo).

In sostanza si andrebbe ad un sistema bipartitico, con l’aggiunta di pochi  senatori della Lega e dell’Udc (e di Di Pietro, forse). Una situazione favorevolissima a Silvio Berlusconi che avrebbe la maggioranza assoluta senza bisogno di alcuna alleanza.

Un sistema bipartitico non è una iattura di per sé (a me non piace, ma vabè), e in teoria si capisce bene come i due principali partiti italiani possano vedere di buon occhio quel sistema. Ma di nuovo va considerata la particolare situazione italiana e l’anomalia patologica dovuta al fatto che Berlusconi controlla la quasi totalità dei mass media. A ciò si aggiungano le velleità dittatoriali mostrate più volte dal leader del PdL, anche nelle recenti proposte di legge più volte annunciate (più poteri al premier, riforma della Magistratura, leggi da Stato di Polizia, divieto di intercettazioni telefoniche, pene più pesanti per i reati di stampa). La legge elettorale che uscirebbe dal referendum trasformerebbe quindi il regime di fatto in cui già si trova questo Paese in una sorta di monarchia assoluta.

La cosa abbacinante è che questo processo pare essere favorito dal PD. La richiesta dell’election day è un ottimo argomento di propaganda, ma il rischio tragico è che la richiesta del PD venga accettata dal Governo e che il referendum passi, con ciò che ne segue.

La data del referendum dovrà in ogni caso essere fissata entro pochi giorni.

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