COME tutti, volenti o nolenti, avranno notato, gli spot pubblicitari in tv ormai girano tutti in versioni di varia lunghezza. Chiaro, no? Prima ti danno una bombardata della versione integrale, con tutta la storiellina (il bimbo esitante che entra nella camera dei genitori; sguardo del bimbo; battuta della mamma; sguardi; la mamma chiama in causa il papà – perché è il papà che porta i calzoni, seppure del pigiama; attesa timorosa; battuta liberatoria del Padre etc. fino all’elefante-cucciolo che probabilmente cagherà nel due-piazze, porello: insomma un microdramma famigliare); poi, quando l’hai imparata bene, ecco la versione corta, che funge ad un tempo da richiamo dell’attenzione – basta che ci sia qualcosa di diverso e *tac!* sei catturato – e da risparmio sul budget ("che c’è?", "posso?" "anche fufi?", <barrito>, CRACK!*: un videoclip surrealista).
Il sistema è infido e va a toccare quel meccanismo profondo che è la percezione delle narrazioni. Ma su questo sorvolerei ché sennò mi incarto tra Propp, Bruner e Bachelard.
Mi vien da pensare piuttosto, con malcelata perversione, a cosa produrrebbe questo meccanismo applicato alla Letteratura.
Non esistono spot veri e propri delle opere letterarie (a parte i capitoli anticipati dei previsti best seller o degli e-book); ci sono solo, a volte, tristi manchette-frontespizio, quasi delle lapidi, adornate, quando è possibile, di fasce tipo "Premio Campiello" o "Terza ristampa".
Non esistono ma si può provare ad immaginarli. O, ancor più realistico (?), si può immaginare una versione supercontratta di un romanzo noto.
Per es.: <Nel treno. Un numero. La neve. Un salto. "Guerra è". Ospedale. Treno. Boh? Russi. Treno e piedi. Non mi riconoscono.>
Oppure: <Ricordo. Maestro. Mistero. Cadaveri. Gnocca. Amen. Processo. Processo. Processo. Fuoco.>
O anche: <Aula. Jella. Condannatemi!>
etc.
Cosa rende irriconoscibili i libri su riassunti (no, ok, sono riconoscibili)? Il fatto che sono parole e non immagini.
Banalità, il tuo nome è "il tempo è denaro".