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La Blogfest 2008, io c’ero, ecco la prova

Sono partito venerdì mattina per Riva del Garda,  ridente cittadina dimenticata da dio e dalle FF.SS. ma non da Bossi e neanche dai turisti tedeschi. Forte dell’esperienza di parecchi raduni usenettiani, sapevo che lo scopo del summit era unicamente di vedere gli altri blogger vis à vis (e infatti non avevo minimamente guardato cosa ci fosse nel programma).

Sull’eurostar da Firenze c’era un sacco di gente che smanettava su piccoli computer (detti eee per via della frase "eeeh! ti garberebbe averlo anche a te, eh?"). Erano certamente blogger in incognito, parte di quella ciurma che presto avrebbe invaso la costa nord del lago di Garda, inducendo gli autoctoni a chiedere "Ma chi è tutta quella gente strana?!". Però, appunto, erano in incognito.
Il tempo era caldo e afoso. Fino a Verona. Poi, pioggia che veniva già come se avesse la banda larga. (Tant’è che, dopo Verona, sono andato nel bagno del vagone e mi sono cambiato – da shorts e sandali a pantaloni lunghi e scarpe invernali.)
Treno fino a Rovereto, poi uno splendido autobus anni ’50 che fermava a tutti i numeri civici. E infine Riva del Garda.
Dopo 6 ore e mezzo e 4 mezzi di trasporto diversi, giungevo dunque all’albergo di proprietà del sig. Garni (ne ha una catena) e nomato Orchidea. Ciò per dire che ci vuole una mente perversa per fare una roba così in luogo ove non fermi un eurostar.

Nel pomeriggio ho vagato per l’ameno paesino lacustre, senza trovar traccia dei campeggi col bar che erano previsti dal programma. Ho saputo poi che un fortunale aveva infierito sulle fragili strutture collocate in vari punti di Riva. Le fanciulle dell’accoglienza – trincerate in un curioso rifugio alpino prefabbricato ancorato sul lungolago – mi hanno tuttavia fornito i mezzi di sussistenza previsti dall’organizzazione, comprensivi di documenti falsi (badge in bianco), distintivi di identificazione, camuffamento da ggiovane e razioni di sopravvivenza ipercaloriche.

[Non voglio fare un post di 6 cartelle, dunque passo ad una cronaca meno puntuale.]
Un cenno sul concerto dei Sei Ottavi (di cui nessuno ha parlato perché lo hanno rimosso): questi sono un gruppo vocale costituito da gnomi sovrappeso e gnocche superfasciate (per carità, è la voce che conta) che fanno il tipico repertorio per le case di riposo per anziani e per i turisti dopati di luoghi comuni: da "Nel blu dipinto di blu" a "Chattanooga chou chou" a "Quando quando quando". I blogger entravano nella sala e ne uscivano dopo 5 minuti massimo, alcuni ridendo scompostamente, altri duramente provati. E bon.

Ma veniamo ai blogger.
Alla Blogfest ho incontrato parecchia gente e tutti manco me li ricordo. Tra i primi, Oskar NRK e Maria-Sednonsatiata (quest’ultima sfoggiante una scollatura degna di miglior contenuto). Più tardi Guido Catalano, Kurai, Arsenio Bravuomo e Zio Bonino. Lo Zio di Tutti Noi mi ha amabilmente salutato intimandomi, come si conviene, di inginocchiarmi ai suoi piedi. Poi però mi ha graziato perché in terra era bagnato. Bravuomo mi si è presentato un’altra volta, più tardi, per via dei negroni che aveva frattanto ingerito.

Ho anche conosciuto le blogstar – o almeno la loro forma umana. Le blogstar sono magnanime e benevolenti: tutti hanno fatto finta di sapere chi fossi.

Ora faccio un elenco di quelli con cui ho scambiato qualche parola (oltre ai già detti): la Fran, Keplero, Pietro Izzo, Sofi, Auro, Elena SA, Matteo (BloggoI), Annarella, Marcella (Milo), Federico Bolsoman e Daria, Orientalia, Eleonora (di Lulu), Pasteris, Mauro Gasparini, Asended. Poi anche degli altri di cui non mi ricordo il nome, memoria vigliacca!
Con molti altri siamo rimasti praticamente alle presentazioni: non ne cito nessuno così pari e patta.

Il tempo è stato stabile per tutti e tre i giorni: pioveva sempre. Ciò nonostante (e qui apro una parentesi look-dei-blogger), vi sono state delle coraggiose che non hanno rinunciato all’abito che avevano programmato di indossare: per esempio Simona Siri, in tutto il suo splendore, ha affrontato la piazza piovigginosa del FashionCamp con abitino levissimo e tacco 12. Mi dicono anche che Mafe sfoggiasse sandali da museo art nouveau; ma io non faccio caso alle calzature delle donne, quindi boh (fanno eccezione le crocs di Auro, ma quelle sono catarifrangenti perciò le ho viste anch’io).
Ho visto anche qualche altra fanciulla in gran tiro (mise tra la cubista e l’hostess da fiera, diciamo), ma non so chi fossero e quindi resto sul generico (ah ah!). (Selvaggia Lucarelli non fa testo, non essendo annoverabile tra i blogger).
No, dico questo perché invece la larga maggioranza dei convenuti ha ovviamente rinunciato al look geek-fighetto per ripiegare su pratiche tenute nerd-quando-piove.

Il sabato, dopo una breve puntata al FashionCamp (che non ho ancora capito che fosse, però c’era un buffet gratis), ho partecipato a ben due dibattiti al LitCamp: uno sull’editoria digitale e il print-on-demand, l’altro sul progetto de La Stampa di fare la versione per ebook reader. Ma semmai dico qualcosa in separata sede.

Più tardi c’è stato il concerto dei Lino e i mistoterital, che non conoscevo e sono molto bravi e divertenti. E poi le premiazioni di quella cosa che fa il Neri coi suoi amici. A dire il vero la cerimonia di consegna dei premi è stata piuttosto divertente; ma purtroppo era presente anche Facci.

Alla fine delle premiazioni, Leonardo ha aperto una bottiglia di spumante, a chiamato a sé quelli che aveva intorno e ha detto "Ecco, bevetene tutti e fate questo in memoria di me". Ma in realtà scherzava. Anzi, in realtà si è brindato e basta; e quella frase, "bevetene tutti e fate questo in RAM di me", l’ha detta ovviamente Zio Bonino.

Le persone che ho conosciuto sono tutte belle e simpatiche (le donne), ovvero simpatiche (gli uomini). Non ho avuto sentore del minimo screzio o pettegolezzo. Sì, c’è stato chi ha detto che Zio Bonino non è capace di camminare sulle acque, ma vabbè.

Nel complesso la vacanza è stata molto piacevole. Purtroppo si è ammazzato David Foster Wallace.

Blogfesting in the rain

Da domani a domenica dovrei essere a Riva del Garda, ove potrò prepararmi adeguatamente ad affrontare un piovoso autunno. Pare infatti che pioverà come Splinder la manda, sì che i molti blogger colà convenuti dovranno stringersi in locali favorevoli alla promisquità dei sudori, ove potranno fare uno sharing molto 3.0 delle proprie emissioni corporee. (Sono richieste solo le vaccinazioni standard.)blogfest

Non è un web per scultori

SICCOME io di mestiere faccio lo scultore…
No, davvero. Seriamente! Faccio lo scultore. Giuro.
Dicevo, siccome faccio lo scultore, allora talvolta mi vien da pensare che il web, le cose webbiche, lì, tutto l’ambaradan, non hanno la possibilità di trasmettere/ospitare le sculture.
Chiaro, no? È pacifico. Non c’è verso!

Sì, certo, delle sculture si possono mettere le foto, sul web; e talvolta – diciamo la verità – le sculture, in foto, sembrano più belle che dal vero, con le luci giuste, lo sfondo eccetera.
Però le foto delle sculture non sono sculture. Stanno alle sculture, le foto, come le foto delle belle donne stanno alle belle donne (anche le donne, infatti – e pure gli uomini, si capisce – in foto possono essere più belle che dal vero). Ma con le foto delle belle donne… Non occorre che spieghi oltre, no?

Sì, è vero, esistono le fotocopiatrici 3d – dei pantografi che lavorano col polistirolo, in pratica, ma intanto non sono diffuse e costano un pacco di soldi; e poi comunque con quelle si fanno solo delle cose di polistirolo; piccole, per di più. Polistirolo grezzo, insomma… Non è il massimo.
Se è per quello esistono pure grossi pantografi per il marmo che lavorano anche con dati numerici. Ma in ogni caso si tratta di tecnologie che hanno a che fare con la digitalizzazione di oggetti, o con la loro progettazione, anche; ma non con l’uso del web per condividere questi oggetti. Non fino ad oggi, almeno.

Ok, fare scultura per il web potrebbe voler dire anche abbandonare i materiali tradizionali e passare ad altri, con altre e nuove possibilità. Per la pittura e la fotografia (e le loro contaminazioni) è già così. Ma anche lì, insomma, non è che ci siamo granché. Cioè, si può fare pittura/fotografia con strumenti digitali, ok, ma poi sul web puoi metterci solo delle riproduzioni.
Ma sto divagando. Dicevo della scultura con materiali non tradizionali; o, per meglio dire, senza materiali. Io posso farla, una scultura esclusivamente digitale, come no. Ma finché resta un file, questa scultura è al massimo un progetto di scultura. Ovvero, ciò che conta è l’output finale, chiaro, mica il progetto.
Allora se rinuncio al materiale posso al massimo o fare degli oggetti 3d digitali, visibili con un software specifico che faccia il suo bel rendering (e questo sarebbe l’output finale); oppure ricorrere agli ologrammi.
Se non che, gli oggetti 3d son cosette che stanno dentro il monitor – ed hanno più a che fare con l’animazione che con la scultura – e i proiettori di ologrammi, eh!, costano una cifra e non sono diffusi neanche loro.

Comunque questo post non è che lo scrivo per fare il punto dello stato della tecnologia rispetto al web e alla scultura. No.
E’ solo per dire che, a volte, mi spiace non poter mettere on line le sculture.
D’altra parte, il fatto che le sculture siano legate ai materiali, alle loro caratteristiche fisiche al lavoro manuale, quel fatto lì lo trovo confortante.
Probabilmente è una posizione di retroguardia, ma pazienza.

Vita da single/28

No, che una volta, in agosto, se stavi in città, almeno c’era quella desertificazione straniante per cui c’era gente che spariva, altra che ritrovavi dopo anni (e con la quale scattava quella fraterna solidarietà dei compatrioti che si incontrano nel medesimo campo di prigionia); il traffico si mutava in una sorta di nomadismo da dopo-bomba; i negozi usati eran chiusi e toccava scoprirne di altri, remoti e mai sospettati. Era come vivere in un’altra città, il che, insomma, un po’ poteva dare l’impressione di esserci andati, in vacanza: una vacanza in un luogo non proprio turistico (*) ma decisamente misterioso. Persino i programmi tv sembravano teletrasportarti in un’altra epoca.

(*) A meno che uno non abitasse in una città superturistica, ok, problemi suoi.

Vita da single/28

Campagna contro l’esistenza dei rotoloni di scottex

Lo scottex (inteso come eponimo per i rotoli di strofinacci di carta) è un oggetto sostanzialmente inutile. Forse un filo più igienico e più comodo dell’accoppiata spugna-strofinaccio, ma, appunto, niente di più. Di contro, esso scottex costa denari ed empie(*) pattumiere (non essendo io un ecologista, sottolineo il primo punto).

No al rotolone!
Sii pure consumista, occhei, ma con criterio!
Così non ti devi ricordare di ricomprarlo, tra l’altro.

(*) Voce del verbo "empìre": riempire, colmare.

Pacco Ibs dai Grandi Magazzini

Benché da qualche mese io legga quasi esclusivamente ebook, la persistente inconsistenza dell’editoria italiana in quel settore non permette certo di rinunciare a comperare della carta (a meno che uno non voglia leggere solo bestseller americani e/o testi in inglese).

Ecco dunque il contenuto dell’ultimo pacco recapitatomi all’uscio da Internet bookshop:
   
Luciano Canfora, Critica della retorica democratica         
Luciano Canfora, Democrazia. Storia di un’ideologia         
Luciano Canfora, Giulio Cesare. Il dittatore democratico    
Luciano Canfora, Libro e liberta’                           
Piero Ignazi, Partiti politici in Italia                 
Terry Pratchett, Il piccolo popolo dei grandi magazzini

Non so se alternare fantasy comico d’evasione alla saggistica storico-politica sia una cosa sana (avendo inoltre varie altre cose in corso di lettura da tempo); ma devo dire che la cosa un poco preoccupante è un’altra, e cioè il fatto che ho comperato anche alcuni titoli che avevo già letto in versione e-book: la pulsione hoarding relativa ai libri (solo a quelli, grazialcielo) sembra non arrendersi all’ascesa del nuovo medium.