Prossima fermata: Urbanistica

Mi ero iscritto a parlare alla convention “Prossima fermata: Pisa“. Poi non sono potuto andare per una roba imprevista che, vabbè.

Il tema di questa tappa era ampio: “...parlare di sapere: sapere come conoscenza, ed economia della conoscenza, dall’asilo nido ai poli tecnologici, passando per scuola, università e ricerca. Di sapere come informazione, come diritto a sapere cosa succede intorno a noi.”  Su questa traccia, bisognava scegliere una parola per il proprio intervento. Io ho scelto “Urbanistica”. Il tempo a disposizione era di 5 minuti a testa. Questo è l’intervento che avevo preparato:

La parola che ho scelto non è una parola nuova. “Urbanistica”. Suona vecchio, forse.

Perciò, prima di illustrare brevemente la mia proposta, dirò perché credo si possa parlare di Urbanistica in una assise in cui il leit motiv dovrebbe essere il rinnovamento della politica e della proposta politica.

L’Urbanistica rappresenta, in Italia, una grande chance perduta. Un fallimento. Il fallimento della possibilità di incidere profondamente nella qualità della vita delle persone, nella loro crescita culturale, nella crescita economica di un territorio. L’Urbanistica dovrebbe progettare le città e governare la loro crescita, nel contesto di una visione generale,  scelta dalla Politica, di come dovrebbero essere o diventare le nostre città e i nostri territori per far coesistere in modo armonico e ottimale sia l’esigenza di produrre ricchezza, sia l’esigenza di avere spazi dove vivere, socializzare, spostarsi, avere a disposizione tutti i servizi indispensabili ad una accettabile qualità della vita.

Le scelte urbanistiche sono scelte molto concrete e che incidono enormemente nella vita di una comunità. Ecco perché è indispensabile capirle, discuterle e dar loro la giusta importanza anche nella politica di domani.

Ma l’Urbanistica rappresenta anche un fallimento storico, dicevo. Un altro dei fallimenti della politica italiana nella traiettoria storica del suo degrado. Perché la pianificazione urbanistica, messa nelle mani dei politici, ha nel complesso ceduto all’esigenza dei politici di costruirsi un consenso rapido, e mantenerlo giorno per giorno. L’Urbanistica non esiste nei tempi brevi. Un ottimo Piano Regolatore, attuato al meglio, comincia a dare effetti positivi per la vita delle persone dopo una decina di anni dalla sua entrata in vigore. Per i politici è necessario invece avere risultati di cui attribuirsi il merito in tempi brevi. Ecco quindi che, a dispetto della mole enorme di leggi e normative che impegnano gli enti locali ad adempimenti urbanistici parimenti ponderosi, le nostre città crescono attraverso episodi sparsi e slegati, attraverso varianti continue ai Piani Regolatori, attraverso le spinte degli interessi privati che troppo spesso la politica non riesce a governare.

Lo stato delle strutture e delle infrastrutture dei nostri territori (spesso non scandaloso, specie nei nostri Comuni toscani, ma sempre insufficiente e disomogeneo, così come è insufficiente la disponibilità di servizi per i cittadini) – lo stato delle strutture e delle infrastrutture, dicevo, è un àmbito sul quale la politica deve saper fare delle proposte, ma proposte che abbiano dietro una visione complessiva di come vogliamo che siano le nostre città e i nostri territori.

Ecco allora la mia proposta, fatta di tre fasi.

1. Istituire un Centro di studi storico-urbanistici che analizzi l’evoluzione dei territori (i territori di una provincia, o di una regione), tracci quali sono state le tendenze manifestatesi negli ultimi 30 o 40 anni, indichi le soluzioni per proseguire in futuro nello sviluppo urbano (là dove ci siano ancora spazi per lo sviluppo urbano) ottimale sia in ottica ambientale, che sociale, che economica.

2. “Obbligare” gli amministratori locali eletti ad acquisire un minimo di competenze urbanistiche e un minimo di conoscenza della storia urbanistica del loro territorio. (Un corso di formazione, insomma, magari organizzato dal medesimo Centro studi di cui sopra.)

3. Eseguire (sempre a cura del Centro studi storico-urbanistici) uno studio per calcolare i costi infrastrutturali che gravano sulle aziende e sui cittadini di un territorio. E, su questa base, suggerire quali modifiche possano far diminuire questi costi. Ricordiamo che un’azienda ha interesse a stare in una zona dove le infrastrutture le consentono di essere più competitiva, è pacifico.

Ultima annotazione. L’Urbanistica non va contro l’ambientalismo. E’ il contrario: è nei territori dove lo sviluppo urbanistico non è governato che l’ambiente non è tutelato. Gli ambientalisti hanno ottime ragioni, guardando alla pessime o inesistenti scelte urbanistiche fatte in passato in certi territori, per diffidare della pianificazione urbanistica. Ma è una diffidenza che deve venir meno, perché bloccare semplicemente lo sviluppo urbano non migliora né i territori né la vita dei cittadini che devono viverci.