La beatificazione del Gran Reazionario

E quindi domani si santifica (anzi, beatifica, dovrebbe essere una cosa diversa, no?) il gran reazionario della Chiesa cattolica. Niente di strano, niente di male: la Chiesa di oggi è stata in gran parte forgiata da Wojtyla e dai suoi seguaci in quasi 30 anni di papato: logico che questa Chiesa voglia esaltare il suo artefice.

Nell’occasione, però, si cercherà anche di sostituire alla biografia di GP2 la sua agiografia: lo si fa spesso coi morti, figuriamoci coi santi!

E quindi si cercherà di far dimenticare l’azione di sistematica distruzione, da parte del papa polacco, di tutte quelle istanze di rinnovamento e di apertura al progresso che attraversarono la Chiesa cattolica apostolica romana in quella straordinaria stagione culminante nei tre anni del Concilio vaticano secondo, aperto da Giovanni XXIII e chiuso da Paolo VI. Distruzione culminata nella redazione del Nuovo Catechismo universale della Chiesa cattolica, opera in gran parte dell’allora cardinal Ratzinger.

Le grandi innovazioni pianificate e, in parte, attuate dal CVII erano state in parte già accantonate da Paolo VI nella seconda parte del suo pontificato, quella nella quale, di fronte alla velocità e radicalità dei mutamenti sociali (siamo negli anni ’70), la Chiesa ritenne di dover “frenare” e operare per una sorta di “ritorno all’ordine”. Tuttavia nella comunità dei cattolici, specie in quelli formatisi negli anni ’60, le istanze del Concilio erano (e sono, credo) radicate (penso all’ecumenismo, al primato del dialogo, all’esigenza di andare incontro agli “ultimi”). Per tutti costoro il pontificato di GPII ha rappresentato una continua frustrazione e delusione, una marcia indietro, una restaurazione. Si pensi, per esemplificare questo conflitto, all’opera – oggi piuttosto dimenticata – di Ernesto Balducci