Periodici esercizi di critica pseudotassonomica

Ogni tanto i critici letterari aggiornano la lista degli scrittori bravi.

Chiaramente non scrivono, a tal fine, una lista di nomi. Spiegano, anche. Ultimamente si scrivono libri così e cosà, dicono. E li scrivono questo scrittore qua e quell’altro là.

Chiaramente ogni critico (o clan di critici) ha la propria, di lista. Ma non voglio mica fare sarcasmo. Volevo solo dire una o due cose riguardo alla serie di articoli “I nuovi narratori” la cui seconda puntata occupa oggi la principale delle pagine di cultura di Repubblica (“Il Littell che manca all’Italia” di Mario Desiati).

La tesi dell’articolo è che “gli anni Duemila della narrativa italiana saranno ricordati per il ritorno al reale“. Ovvero, nel segno di Saviano e di quelli che si possono in qualche modo avvicinare all’inavvicinabile modello di “Gomorra“.

Sinceramente non ho letto gli autori elencati da Desiati in questa lista. Però quella tesi l’ho già sentita, diversi anni fa, in forma di auspicio. Raramente i giovani critici resistono alla tentazione di dire come la letteratura a loro contemporanea dovrebbe essere (dire semplicemente com’è, in effetti, fa meno sensazione).

Non so se la tesi sia veritiera (dovrei vedere nel futuro, per saperlo). Non dubito che vi siano esempi, nella produzione narrativa italiana recentissima, di tale “realismo”. La letteratura italiana giovane ha vissuto una stagione di grande prolificità e un accesso senza precedenti all’editoria, nell’ultimo decennio (dal ’93-’94, diciamo?). Lingua e tematiche giovanil-giovaniliste sono il tratto caratterizzante di tale ponderosa produzione, con una vena maudit abbastanza adolescenziale riccamente rappresentata (con le ovvie eccezioni, chiaro).

Può darsi che questo “realismo” sia il tratto con cui la fortuna di quel decennio cerca di perpetuarsi, nella lettura di una certa critica prescrittiva? Per andare oltre gli estremi della fiction, una delle possibilità è passare al reality, no?
Non lo so, faccio un’ipotesi.

Certo, citare “Les Bienveillantes” come esempio di letteratura “realista” che fa i conti con i tabù di una società suona un po’ bizzarro. Littell viviseziona un tabù, non c’è dubbio, ma il realismo dove sta? Vien da pensare che sia la rottura del tabù (tipico tratto del soi disant maudit) ciò che si vuole evidenziare.
Chiaramente io sono prevenuto: la letteratura che apprezzo è tutt’altra. Nondimeno un equivalente italiano delle Benevole lo saluterei come un grande accidente (in positivo, intendo). Temo però che la strada del realismo non passi per tali vette.