Il porcellum alle Europee e le giunte

Non credo affatto che le giunte comunali, provinciali e regionali formate da partiti del centrosinistra rischino qualcosa. Le minacce in questo senso, per protestare contro la proposta variazione della legge elettorale per le Europee che introduce uno sbarramento al 4%, sono elementi di propaganda per alimentare tale protesta.

Tuttavia non vedo che necessità ci sia di tagliar fuori dal Parlamento europeo alcune rappresentanze di forze politiche storiche che, seppur piccole, insieme esprimono almeno il 9% dell’elettorato italiano.

Nel Parlamento europeo, gli eletti entrano a far parti di gruppi molto più grandi che raccolgono le forze affini presenti nei vari paesi dell’Unione. Perciò la frammentazione viene in gran parte ricomposta in tal modo. Inoltre, il Parlamento europeo ha funzioni ben diverse da quelle dei parlamenti nazionali, almeno a tutt’oggi.

Ridurre la rappresentatività di un sistema democratico è lecito quando ciò serve ad aumentare la governabilità. E non mi pare che il Parlamento europeo abbia mostrato dei problemi di governabilità, fino ad ora. Anche considerando che l’unione politica della CE è ancora ben lontana.

Ovviamente non è per queste considerazioni che i partiti italiani piccoli, di destra e di sinistra, protestano: è invece, semplicemente, perché temono di scomparire anche dal Parlamento di Strasburgo.

E forse anche il PD non ha fatto particolari valutazioni sull’opportunità di tagliar via i partiti italiani sotto il 4% dall’Europa: comprensibile perciò che Veltroni sia fatto oggetto di critiche – anche dall’interno del suo partito – per l’accordo che ha fatto con Berlusconi per modificare le legge elettorale con cui andremo a votare tra 4 mesi.

La Direttiva Maroni che mutila il diritto di manifestare è realtà

Come aveva annunciato, il ministro dell’Interno Maroni ha inviato a tutti i prefetti una direttiva che limita “l’accesso dei cortei ad aree particolarmente simboliche sotto il profilo culturale, sociale e religiose” e prevede “forme di garanzia per eventuali danni“.

(Qui il testo integrale della direttiva.)

Un doppio attentato alla libertà di manifestare: una manifestazione in qualunque piazza italiana dotata di chiesa (quasi tutte) sarà perciò autorizzata o negata a discrezione del Pretore; inoltre, se voglio organizzare una manifestazione in un luogo come quelli descritti nella direttiva, dovrò avere i soldi per versare una cauzione (non piccola, si suppone, poiché dovrà servire a pagare eventuali danni).

Risultato: niente più cortei o manifestazioni in luoghi storici, se non organizzate da enti danarosi e graditi alla Prefettura.

Tutto ciò usando come pretesto la manifestazione milanese pro palestinesi conclusasi con una preghiera collettiva in Piazza Duomo (cosa ci sia di male in una occasionale preghiera musulmana in Piazza Duomo a Milano, resta un mistero per chi non ragioni con paraocchi razzisti e/o bigotti).

Credo che su una cosa del genere sia inaccettabile e che si debba farsi sentire, direttamente o dando calci nel sedere ai rappresentanti dell’opposizione. Un bel sit in davanti alle chiese o ai palazzi storici principali di ogni città potrebbe essere un’idea.

Le nuove avventure di CiccioRutello

rutelli03gCiccio Rutelli ha deciso di far sapere che esiste ancora elargendo al pubblico, nei giorni scorsi, due idee da par suo:

1) Proposta di legge per cui gli italiani che decidono di andare in viaggio in un paese “a rischio” si impegnano a rimborsare – qualora siano rapiti – l’eventuale riscatto allo Stato. (Praticamente sarebbe come scrivere su ogni italiano all’estero “RAPITEMI!” con vernice fosforescente.)

2) Veltroni – dice Rutelli in una intervista al Corriere – ha poteri molto ampi nel PD: tocca a lui esercitarli per superare la crisi del partito. E ha 5 mesi di tempo. Altrimenti…

(Nella stessa intervista Ciccio ribadisce che Di Pietro va scaricato e che è stato un errore dargli un passaggio.)

Cosa accadrà in seguito? Per saperlo, non perdete i prossimi episodi de Le avventure di CiccioRutello!

L’opportunismo della destra italiana

Quando D’Alema ne dice una giusta, beh, bisogna ammetterlo. E quel discorso che ha fatto ieri, sul fatto che AN si prodighi nel mostrarsi più filoisraeliana possibile per “farsi perdonare” le sue origini fasciste, è evidentemente vero per chiunque conosca la storia recente di quel partito. Basterebbe ricordarsi delle visite di Fini in Israele in cui gli esponenti istituzionali di quel paese si rifiutavano di riceverlo (ancora durante il secondo governo Berlusconi, se ben ricordo).

È addirittura una banalità, un’ovvietà, quindi, dire che quella posizione di Fini e dei suoi sia un’opportunistica inversione a U. Ma il fatto è che non lo dice più nessuno, e non lo ha detto nessuno nel corso della crisi mediorentale in corso (mi pare). Il merito del Lider Massimo è di averla ricordata, quella cosa lì; di aver ricordato che lo stesso Fini che pochi anni fa definiva Mussolini “il più grande statista del ‘900” cerca oggi una riabilitazione mostrandosi radicalmente filoisraeliano, attaccando persino la Chiesa sulle leggi razziali del ’39, riconoscendo i crimini (alcuni) del Ventennio.

(Altrettanto opportunistica appare la posizione di quei socialisti o ex socialisti che oggi, anche loro, si allineano alle posizioni del Governo su questo tema: bisognerebbe forse ricordare anche che il PSI di Craxi è stato il più radicalmente filopalestinese dei partiti italiani.)

Quei privilegi romani che i leghisti non contestano

Chi ha o ha avuto a che fare con un’amministrazione comunale, grande o piccola, sa bene quanto pesante sia per qualunque amministratore rispettare il Patto di stabilità. Non importa quale sia il partito che governa quel comune: per tutti quell’obbligo è una forca caudina.

Ci si può quindi immaginare che i sindaci italiani abbiano appreso con lieve irritazione la notizia di un emendamento alla Finanziaria 2009 che esonera il Comune di Roma dal rispetto del PdS per quanto riguarda i 600-700 milioni previsti per i lavori della metro.

Certamente Sergio Chiamparino, sindaco di Torino(*), non è rimasto zitto di fronte a questo plateale favoritismo che il governo Berlusconi fa ad una giunta, quella di Roma, di destra: «La situazione è difficile per tutti – spiega – ma il governo Berlusconi ha aiutato Roma con 500 milioni, che sarà solo una prima tranche di soldi, senza che l´amministrazione di Alemanno abbia mai tirato fuori i documenti che dimostrino la reale esigenza di un aiuto così importante. Ora si consente alla capitale di investire senza vincoli per altri due anni, con la motivazione del presidente Giorgetti che così Roma può finanziare le nuove linee della metropolitana».

E colpisce duro, Chiamparino, quando fa notare che la Lega Nord, che tanto spesso parla di “Roma ladrona”, in questo caso non ha niente da obiettare a questo clamoroso aiuto regalato ad Alemanno: «Mi chiedo se i leghisti, dopo averci disgustato per anni con lo slogan “Roma ladrona”, ora siano passati a tenere il sacco. La questione del Nord per loro è forse solo una questione di folklore.»

I leghisti che “tengono il sacco“, che si fanno complici dei furti di Berlusconi (anche dell’operazione Nuova Alitalia, per esempio) è un’immagine che arriva chiara proprio all’elettorato della Lega.

(*) Non sarà un caso se proprio Chiamparino risulta uno dei tre sindaci più amati d’Italia in un recente sondaggio.

chiamparino1

Derrida e l’Europa dell’integrazione possibile

[Repost con aggiunte di un articolo di qualche anno fa]

Il 22 settembre 2001 Jacques Derrida ricevette, a Francoforte, il Premio Adorno.
Il premio avrebbe dovuto esser consegnato, come sempre, l’11 settembre (data di nascita di Adorno); ma l’11 settembre 2001 Derrida era in Cina, dunque la cerimonia fu fissata per il 22.

Bompiani ha pubblicato, in un libricino della collana Paesaggi (“Il sogno di Benjamin“), il discorso di Derrida per la consegna di quel premio.
È un po’ più che un discorso di circostanza; e suona forse ancora più attuale oggi, a 8 anni di distanza, di quanto non fosse allora. (Quell’11 settembre 2001, come tutti sanno, si son levate polveri che solo adesso – forse – si stanno posando.) Il tema strettamente filosofico
del debito di Derrida verso Adorno si sviluppa in modo tortuoso andando a parlare dell’antisemitismo, della comprensione tra culture (e lingue), dell’attentato delle Twin towers avvenuto pochi giorni prima.

Il nocciolo: una tradizione politica e irrazionalista ha attraversato in forme molteplici il 900. Che essa possa essere ancora il cardine di un progetto sociale ideale, suona un po’ bizzarro. Il ‘900 ha pagato caro il credito dato a utopie idealiste e cecità di massa. Ma Derrida sostiene proprio quello, e lo argomenta con la consueta acutezza ed ambiguità.
Può un sognatore parlare del suo sogno senza svegliarsi? Il filosofo, dice Derrida, risponde di no; l’artista risponde “forse, talvolta”. Adorno, e Benjamin prima di lui, oscillano tra le due risposte, tentando di farle coesistere. Ciò implica quella che Adorno chiama “la possibilità dell’impossibile”: “Nel paradosso della possibilità dell’impossibile, scrive Adorno, per l’ultima volta si sono trovati insieme in lui [Benjamin] misticismo e illuminismo. Egli ha bandito il sogno senza tradirlo, e senza farsi complice di ciò su cui i filosofi sempre si sono trovati d’accordo: che questa unione non fosse possibile”.

Bandire il sogno senza tradirlo” suona più che altro lirico; ma in Benjamin acquista anche un senso preciso; (un senso che tra l’altro “veste” bene sul personaggio Walter Benjamin così come appare nel romanzo di Michele Mari “Tutto il ferro della Torre Eiffelen passant); un senso che in Adorno prende invece la forma dell’esigenza di salvaguardare la propria lingua dell’infanzia(*).
Per Derrida l’attenzione di Adorno verso la lingua natale è un discorso che “dovrebbe risultare esemplare, oggi, per tutti coloro che cercano, nel mondo, ma in particolare nell’Europa in costruzione, di definire un’altra etica o un’altra politica, un’altra economia, o anche un’altra ecologia della lingua: come coltivare la poeticità dell’idioma in generale, il suo presso di sé, il suo oikos, come salvare la differenza linguistica, regionale o nazionale, come resistere allo stesso tempo all’egemonia internazionale di una lingua di comunicazione (per Adorno era già l’angloamericano), come opporsi all’utilitarismo strumentale di una lingua puramente funzionale e comunicativa, senza tuttavia cedere al nazionalismo, allo statal-nazionalismo, o al sovranitarismo statal-nazionalista, senza prestare queste vecchie armi arrugginite alla reattività identitaria e a tutta la vecchia ideologia sovranitarista, comunitarista e differenzialista?

Programma impegnativo e dalla soluzione contraddittoria, quello dove va a parare il discorso di Derrida. La soluzione, infatti, è nell’eredità di una linea di pensiero del ‘900 capace di dare continuità e senso alla cultura occidentale (e alla società, utopisticamente), e consiste nel cercare di salvaguardare ciò che è intimamente radicato in ciascuno – in sé e negli altri – in termini di sogno, lingua, inconscio, infanzia – e che corrisponde, come vulnerabilità, come essere-senza-potere, all’animale, al bambino, all’ebreo, allo straniero, alla donna.

Discorso complesso, su cui non è questa la sede per dilungarsi (né io ne ho la competenza); discorso che inoltre perde consistenza quando lo si allarga fino a trarne una impostazione politica per il filosofo europeo di oggi. Perde peso non perchè non sia condivisibile,
IMO, una scelta “forte” come quella succitata (che coniuga storia e storia personale nella difesa e nella salvaguardia degli inermi motivata
dall’esigenza di “bandire il sogno senza tradirlo”), ma perché è a dir poco utopistico pensare che i filosofi possano incidere sullo sviluppo
dell’Europa politica.

Ciò nondimeno è tema concretamente attuale proprio oggi, nel momento in cui l’integrazione culturale e la modifica/salvaguardia delle identità personali e collettive è questione che chiede e cerca soluzioni e linee-guida. La direzione tratteggiata allora – pochi giorni dopo l’11 settembre – da Derrida è un possibile punto di partenza per rispondere concretamente sia all’idealismo del generico valore della fratellanza, sia al nazionalismo criptorazzista di chi è ostile a qualunque integrazione che non sia mera sottomissione.

(*) Sulla lingua/lingue dell’infanzia e sull’integrazione trans-nazionale, andrebbe visto e comparato anche Elias Canetti.

Riletture Sci-Fi

Mah, “Paria dei cieli” di Asimov me lo ricordavo meglio. Oddio, l’avrò letto tipo 30 anni fa, in effetti. Alla rilettura, quello stile sempliciotto, quasi da romanzo rosa, m’è parso tremendamente stucchevole, e anche datato – è del 1949, del resto.

Mah. Anche la fantascienza classica tradisce. O tempora.

paria-dei-cieli

Update: “Occhio nel cielo“, di P. K. Dick, è già meglio: inventiva, grottesco, comicità, anti-maccarthismo.

L’alternativa dimenticata

Premesso che quella in Medio Oriente, da qualche anno, è diventata la rissa incivile di due gruppi di barbari nazionalisti del quarto mondo (governi di “destra” guerrafondai, che ci si può aspettare?), varrà forse la pena di ricordare che un’alternativa all’uso delle armi, da parte del governo democratico del libero stato di Israele, c’è.

Varrà la pena di ricordarlo, forse, perché è una di quelle cose ripetute per decenni che oggi, magari per sfinimento, non si dicono più.

Lo stato di Israele deve difendersi dai terroristi che gli tirano razzi tutti i giorni e che vogliono cancellarlo dalla carta geopolitica, dicono gli ultras di quella fazione. Che altro può fare se non reagire? Bene, ricordiamo che lo stato di Israele potrebbe anche restituire le terre invase e conquistate manu militari – illegalmente – 40 anni fa.

No, tanto per ricordarlo. Quel governo là non ci pensa minimamente, chiaro. Però è un’alternativa all’uso delle armi.