Limpidi inglesi, criptici irlandesi

"English writers for the most part try to follow Orwell’s dictum that  prose should be a pane of clear glass through which you look," he  said. "But Irish writers think of prose style as a distorting lens.  We love that ambiguity; we love that a word can have three or four  meanings at the same time."

Questo il pensiero di John Banville riportato in un articolo sul New York Times. Banville è uno scrittore; non c’è problema a perdonargli questa categorizzazione fatta con l’accetta tra scrittori inglesi e irlandesi.
E John Banville ha vinto da poco il  Man Booker Prize, ovvero il  "Britain’s most influential literary award", suscitando un certo disappunto nell’ambiente editoriale e letterario britannico (così dice almeno l’articolista del NYT, Sarah Lyall).

Ora, John Banville è assai tradotto in italiano; quindi qualcuno che lo ha letto lo dovrei trovare. Potrebbe costui farmi sapere che roba scrive mr.Banville? Così mi regolo, dato che in ciò che ho trovato su di lui ci sono sia argomenti pro che contro il mio gusto.
Thanx in advance.

Johan, Malung, Granäs, Vättern e i loro amici

Ovvero: ho passato 4 ore all’Ikea; ed ivi, lasciando in cambio un addebito Visa di 360 euro, ho più o meno completato gli arredi della mia nuova casa-da-single-studio-laboratorio.
Mi rendo ben conto che della cosa a nessuno potrà fregar di meno che a voialtri per di qua casualmente transitanti.
Mi rendo conto inoltre di aver detto in passato che la modalità blog-diario non fa per me.
Capisco infine che un post come questo non può verosimilmente andare a parare da nessuna parte – a meno che non pubblichi foto e link dal catalogo Ikea 2005-2006 (e che ora mi metto a fare pubblicità gratis? pfui!)
Mi è chiaro che, anche allungando il brodo come sto facendo, difficilmente potrà venirmi in mente qualcosa di sostanziale con cui dare senso a quanto sin qui digitato.
Quindi:
il racconto breve intitolato "Le avventure di Johan, Malung, Granäs, Vättern e dei loro amici" (profilo di alcuni disadattati le cui difficoltà di relazione sono affini alle caratteristiche dei mobili Ikea dallo stesso nome) lo rimando a domani.

Fatemi un saluto neosituazionista

Dal post precedente, butto lì l’idea.
Ci sono webcam puntate su luoghi pubblici, accese 24/24h. Soprattutto nelle grandi città, ma insomma, anche altrove.
Uno le potrebbe sfruttare, no? Per gioco, diciamo.
Si annuncia sul proprio blog, sugli aggregatori, spammando gli amici, che il tal giorno alla tal ora si andrà davanti alla webcam della propria città (di cui si posta il link, ovviamente); poi si va là e si fa la propria, ehm, performance (un cartello, un cenno, un saluto, un… fumogeno? 😀 ).
chi sta a Roma potrebbe andare qua, per esempio. Chi sta a Milano qua a San Babila. Bolognesi? All’Interporto. Fiorentini? Boh, qua?

Ora, uno obietterà: ma non è come accendere la webcam propria e metterla on line? Insomma, quasi: di diverso c’è il luogo pubblico, lo sfruttamento di un flusso di immagini sempre presente (per altri scopi), il fatto che non serve una propria cam on line; il fatto – non ultimo – che bisogna spostarsi; quasi come andare a fare una visita. 🙂

Google Earth e i neosituazionisti

roma  Questo  articolo sull’edizione online del Times Literary Supplement recensisce una monografia su Iain Sinclair. L’articolo parla di "psicogeografia" (cosa che a me fa venire in mente la Psicostoriografia di asimoviana memoria); in effetti Sinclair è un curioso performer-scrittore che negli anni – soprattutto dal 1990 – ha messo in pratica alcune attività tipicamente situazioniste: Sinclair cammina in certe zone (Londra e dintorni, soprattutto) tracciando un percorso predeterminato; per esempio una V, un cerchio, un itinerario storico; e durante queste lunghe e difficoltose camminate raccoglie appunti, impressioni, associazioni di pensieri da ciò che vede, riversandoli poi in testi che cercano di essere una ‘storia alternativa’ della zona percorsa. Un po’ la stessa cosa che fa Perec in "L’intra-ordinario" e nel progetto sull’infanzia ("Je suis né", "W ou le souvenir d’enfance", "Je me souviens").
Non ho letto i libri di Sinclair. La sua attività sembra sviluppare in modo intensamente affabulatorio l’idea, che nasce con Debord, di una rivalsa contro la storia – e la geografia – ufficiale. (Per inciso, anche vari artisti italiani dell’Arte povera e poi della Mail Art produssero opere simili, anche se molto più iconografiche e volutamente distaccate, negli anni ’70 e ’80.)

E va beh.
Dalla lettura dell’articolo su Sinclair mi è venuto da chiedermi in che modo gli strumenti del web possano prendere parte a giochi in qualche modo affini all’attività di Sinclair e compagnia. Chiaramente ci sono molte possibilità: dai viaggi raccontati in tempo reale via podcast, ai percorsi seguiti on line usando le webcam pubbliche – e arricchiti dalle impressioni di quelli che seguono da casa il viaggiatore; e molte altre idee.

Però qua ora volevo più che altro tirare in ballo Google Earth.
Tutti, più o meno, conoscono il programma (o il sito) che permette di vedere dal satellite o da foto aeree ogni zona del pianeta, fino ad ingrandimento (per le zone urbane, più o meno) corrispondente ad una quota di circa 200 metri.
Appena sperimentato Google Earth, avevo pensato che sarebbe stato divertente fare interventi sul territorio visibili con le immagini satellitari. Però Google Earth, come gli altri siti di mappatura aerea, non è aggiornato di continuo: le immagini, anzi, possono essere vecchie anche di diversi anni. Impossibile quindi, per esempio, stendere per terra una scritta di 30×30 metri e poi rivederla attraverso il web (almeno non subito: probabilmente se faccio una modifica vistosa e permanente sul territorio la si vedrà in futuro).  Al momento si può solo "viaggiare" in volo attraverso il pianeta.
Però in futuro, chi lo sa, potrebbe essere possibile accedere via web ad una mappatura fotografica del mondo aggiornata in tempo pressoché reale (al momento possono farlo solo alcuni governi, e con un dettaglio tale da leggere la scritta che uno ha sulla T shirt): allora in quel futuro si potrà lasciare sulle spiagge degli SOS fatti con i rami; o sui tetti dei messaggi di protesta (o magari solo delle scritte come oggi si lasciano sui muri).
Per ora, solo fotomontaggi. 😉