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Heil, Sirius!

È morto Karlheinz Stockhausen. Fu, in un certo periodo, la popstar della non-pop music. In un certo periodo la musica contemporanea elettronica aveva solo il suo nome (almeno al di fuori degli ambienti musicali tradizionali). Sciarrino, Maderna, Berio, Donatoni e Nono erano noti solo tra gli addetti ai lavori, Cage sembrava più che altro un provocatore, Varése… Varése chi?
Non so se tale notorietà si sia creata dopo che la faccia di Stockhausen fu inserita nel collage della copertina di "Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band" da quegli analfabeti dei Beatles (o se invece, probabile, la relazione causa-effetto sia in quel caso invertita). Fatto sta che ricordo l’aura di soggezione che circondava il nome di KS negli anni ’70.
Ovviamente nessuno ascoltava la sua musica; però era molto figo comperare uno di questi prestigiosi e costosi dischi della Deutsche Grammophon sulle cui copertine Stockhausen appariva con la stessa veste grafica riservata ai grandi compositori classici. Son cose che fanno effetto: se ti pubblicava la Deutsche Grammophon eri un grande compositore; se entravi nella "collana bianca" Einaudi eri un grande poeta.

Ricordo anche, tuttavia, che il mito Stockhausen, per quanto mi riguarda, si incrinò molto presto: quando lessi una sua intervista (fine ’70 – inizio ’80) in cui diceva che, insomma, il Nazismo non era stato tutto male e che, insomma… (il che è strano: seppi poi che il giovane Carlenzo – nonostante il fanatismo del padre – ricevette solo orrore, repulsione e morte, dagli anni hitleriani.)

Lirica incatenata

Donna non vidi mai/ simile a
Questa barba benedetta/ la facciamo, sì o
No, che il morir non è/ sì barbaro per
Me dava più gusto, allor me dava./ Ma però Nuccia accorgese
Potea, non volle, or che vorria non
Puote in lui piu’ di mia
Voce dal sen fuggita poi richiamar
Non vale esser di grande et alto ingegno,/ non vale haver potenza, haver
Valor non manca al vilipeso e
Senno fuggì a questi uomini che/ obliati d’ogni virtù e
Pietà non sento d’un traditor./ Tu sei cagione. del tuo
Periglio é là!/ A qual fin or/ smarrir la
Speme non ho, soffrir dovrò!/ Il mio delitto è orribil tanto/ Che cancellar mai nol
Potrò allora/ trattenermi con lei che l’alma
Adora l’alma mia/ Pentito io sono
Già l’ora è trascorsa: il popol freme,/ la sua vittima chiede ad alte
Grida; sento gente,/ a fuggir mi metto, e, pronto pronto,/ per quel muretto in questo loco io monto.

(Non è tutto preso dai libretti, in verità. Ma quasi.)

Detersong

Ieri,
per la prima volta,
ho comprato
un fustino di BioPresto.
Boh,
era a portata di mano
più di altri,
 nel supermercato
(anvedi a volte
le strategie
di marketing…!).

Però.
Mi aspettavo di trovarci dentro
almeno
un cd di Franco Cerri.
Invece niente.

Ma
la pubblicità ingannevole
va in prescrizione?

Traduzioni a pezzi-e-bocconi

Gli amici prima di tutto – Brassens

No, non era la "Zattera
Della Medusa", quella barca,
che si dica in fondo ai porti,
in fondo ai porti.
Navigava placidamente
sul Grande Stagno delle Anatre,
e si chiamava "Gli amici prima di tutto",
"Gli amici prima di tutto".

I suoi "Fluctuat, nec mergitur"
Non erano letteratura,
e non se ne abbiano a male gli jettatori
gli jettatori,
Il suo capitano e i suoi marinai
non erano dei figli di puttana,
ma degli amici liberi e franchi,
degli amici prima di tutto.

Non erano degli amici di lusso,
dei piccoli Castore e Polluce,
né gente di Sodoma e Gomorra,
Sodoma e Gomorra.
Non erano amici scelti
da Montaigne e La Boétie.
Si davano delle gran pacche sulla pancia,
gli amici prima di tutto.

Non erano neppure dei santi.
Il Vangelo, non l’avevano letto,
Ma si amavano a vele spiegate,
a vele spiegate.
Jean, Pierre, Paul e compagnia,
era la loro sola litania
il loro Credo, il loro Confiteor
per gli amici prima di tutto.

Al minimo segno di disfatta,
era l’amicizia che stava di guardia
che gli indicava il nord,
gli indicava il nord.
E quando si trovavano in pericolo,
quando con le braccia lanciavano l’S.O.S.,
li avresti detti dei radiofari,
gli amici prima di tutto.

A un ritrovo dei buoni amici
raramente si dava un bidone.
Quando uno di loro mancava a bordo,
era perché era morto.
Sì, ma mai, mai e poi mai
si riempiva quel vuoto:
cent’anni dopo, destino infame,
Ci mancava ancora.

Di battelli ne ho presi tanti,
Ma il solo che abbia tenuto duro,
che non abbia mai cambiato rotta,
mai cambiato rotta,
navigava placidamente
sul Grande Stagno delle Anatre,
e si chiamava "Gli amici prima di tutto",
"Gli amici prima di tutto".

Scavi T. – 3 (Gaber)

Ci fu un periodo, diciamo tra il ’70 e l’80, in cui lo spettacolo teatrale che Giorgio Gaber metteva su ogni anno veniva rappresentato nel teatro della mia città.. Siccome venivo portato regolarmente a vedere codesti spettacoli, fatti di canzoni e monologhi, mi acquistavo ogni volta la cassetta (musicassetta, ovvio) dello spettacolo, opportunamente venduta nel foyer. Tali acquisti, e i susseguenti, reiterati ascolti, si rivelarono particolarmente fertili negli anni a seguire: difatti, negli show al teatro, una buona parte delle battute non le capivo mica (ma tante altre sì, dato che il Gaber ha mantenuto sempre un’ironia di fondo crassa, da bar sport); ma negli ascolti successivi, pian piano, tutte le parodie, le citazioni, le metafore e i sarcasmi sono andati al loro posto.
Oltre a ciò, non posso negare che un po’ di influenza sull’imberbe encefalo dello spettatore, le idee politiche semplici e idealiste del duo Gaber-Luporini (il co-autore dei testi) l’avevano; specie quando il Gabercich cavava graziosa satira interpretando  le perplessità e le debolezze dell’individuo di fronte ai grandi proclami, ai riti della democrazia, alle utopie.

E mi ricordo bene delle canzoni La presa del potere, La nave, Un’idea, Com’è bella la città, L’amico, Al Bar Casablanca, Oh Madonnina dei DoloriAngeleri Giuseppe, C’è solo la strada, Dove l’ho messa, Giotto da Bondone, Il corpo stupido, L’analisi + La leggerezzaL’odore, La peste, La realtà è un uccello, Le mani, I reduci, Le elezioni, Si può, I padri miei, Polli d’allevamento e soprattutto I borghesi.

Tutto ciò per dire che, dagli scavi, sono riemerse le vecchie musicassette. E anche il mangianastri, che però non va.



Vecchie canzoni

Pollution

La portata di un condotto
è il volume liquido
che passa in una sua sezione
nell’unità di tempo.

E si ottiene moltiplicando
la sezione perpendicolare
per la velocità
che avrai del liquido.

A regime permanente
la portata è costante
attraverso una sezione
del condotto.

(Franco Battiato, 1972)