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Google Earth e i neosituazionisti

roma  Questo  articolo sull’edizione online del Times Literary Supplement recensisce una monografia su Iain Sinclair. L’articolo parla di "psicogeografia" (cosa che a me fa venire in mente la Psicostoriografia di asimoviana memoria); in effetti Sinclair è un curioso performer-scrittore che negli anni – soprattutto dal 1990 – ha messo in pratica alcune attività tipicamente situazioniste: Sinclair cammina in certe zone (Londra e dintorni, soprattutto) tracciando un percorso predeterminato; per esempio una V, un cerchio, un itinerario storico; e durante queste lunghe e difficoltose camminate raccoglie appunti, impressioni, associazioni di pensieri da ciò che vede, riversandoli poi in testi che cercano di essere una ‘storia alternativa’ della zona percorsa. Un po’ la stessa cosa che fa Perec in "L’intra-ordinario" e nel progetto sull’infanzia ("Je suis né", "W ou le souvenir d’enfance", "Je me souviens").
Non ho letto i libri di Sinclair. La sua attività sembra sviluppare in modo intensamente affabulatorio l’idea, che nasce con Debord, di una rivalsa contro la storia – e la geografia – ufficiale. (Per inciso, anche vari artisti italiani dell’Arte povera e poi della Mail Art produssero opere simili, anche se molto più iconografiche e volutamente distaccate, negli anni ’70 e ’80.)

E va beh.
Dalla lettura dell’articolo su Sinclair mi è venuto da chiedermi in che modo gli strumenti del web possano prendere parte a giochi in qualche modo affini all’attività di Sinclair e compagnia. Chiaramente ci sono molte possibilità: dai viaggi raccontati in tempo reale via podcast, ai percorsi seguiti on line usando le webcam pubbliche – e arricchiti dalle impressioni di quelli che seguono da casa il viaggiatore; e molte altre idee.

Però qua ora volevo più che altro tirare in ballo Google Earth.
Tutti, più o meno, conoscono il programma (o il sito) che permette di vedere dal satellite o da foto aeree ogni zona del pianeta, fino ad ingrandimento (per le zone urbane, più o meno) corrispondente ad una quota di circa 200 metri.
Appena sperimentato Google Earth, avevo pensato che sarebbe stato divertente fare interventi sul territorio visibili con le immagini satellitari. Però Google Earth, come gli altri siti di mappatura aerea, non è aggiornato di continuo: le immagini, anzi, possono essere vecchie anche di diversi anni. Impossibile quindi, per esempio, stendere per terra una scritta di 30×30 metri e poi rivederla attraverso il web (almeno non subito: probabilmente se faccio una modifica vistosa e permanente sul territorio la si vedrà in futuro).  Al momento si può solo "viaggiare" in volo attraverso il pianeta.
Però in futuro, chi lo sa, potrebbe essere possibile accedere via web ad una mappatura fotografica del mondo aggiornata in tempo pressoché reale (al momento possono farlo solo alcuni governi, e con un dettaglio tale da leggere la scritta che uno ha sulla T shirt): allora in quel futuro si potrà lasciare sulle spiagge degli SOS fatti con i rami; o sui tetti dei messaggi di protesta (o magari solo delle scritte come oggi si lasciano sui muri).
Per ora, solo fotomontaggi. 😉

Perec: monografia riedita e accresciuta

Notizia pour les perecquiens: le edizioni Inculte hanno ripubblicato il numero della rivista de l’ARC dedicato a Georges Perec, riveduto ed ampliato. Pare sia possibile acquistarlo on line qui, ma per ora non funziona (magari a novembre).

   Georges Perec (Editions Inculte / novembre 2005) 256 pages / 10, 50 euros

Réédition augmentée et corrigée du volume collectif de la revue de l’ARC consacrée à Georges Perec. Au programme : un long entretien avec Perec, des inédits de l’auteur, des textes critiques signés Harry Mathews, P.OL. Paul Virilio , Bernard-Olivier Lancelot, Jacques Roubaud, Gilbert Lascault, Jean Duvignaud, Julio Cortazar, Bernard Pingaud, Catherine Clément, Robert Misrahi, etc. En postface, un long texte de Laird Hunt, romancier américain et spécialiste de Perec.

Un recensione di ieri su un libro di ier l’altro che mi torna di spunto oggi

Il senso dell’opera d’arte individuale nel mercato massificato della cultura; un particolare significato di "élite".
Rileggo una mia recensione di qualche anno fa (sul libro postumo di William Gaddis "Agàpe, agape", tutt’ora non tradotto in italiano) e mi accorgo di come contenga spunti ancora stimolanti. Mi accorgo anche che ha qualche connessione con discussioni di pochi giorni fa (su Vibrisse, su Lipperatura, su Roquentin).Mi pare persino che le parole di Gaddis prefigurino un uso del web per la letteratura e l’arte ancora oggi non raggiunto.  Mi accorgo infine di aver completamente dimenticato ciò che mi era parso valido quando ho scritto la rece, che perciò ripropongo qui.

Lo straordinario, ultimo testo di William Gaddis esce ad alcuni anni dalla morte dell’autore (avvenuta alla fine del 1998), per sua esplicita volontà.
È un monologo di circa 90 pagine in cui uno scrittore malato terminale di enfisema polmonare (come Gaddis) cerca di ricapitolare e mettere insieme un testo al quale ha lavorato per decenni, un testo che doveva essere una storia della pianola meccanica negli USA come emblema della massificazione e devastazione della creazione artistica.

L’impianto autoreferenziale e autobiografico è fin troppo evidente fin dall’inizio: Gaddis raccolse davvero materiale su quell’argomento per almeno 40 anni, una quantità enorme di materiale per un’opera che poi decise di trasformare in un breve romanzo, "Agape, agape", appunto.
In questa scelta – così come nella costruzione autoreferenziale – è contenuto in parte il senso del testo e le tesi che sostiene: la rinuncia a scrivere un testo desiderato per tutta la vita contiene infatti il soccombere dell’artista singolo di fronte alla società tecnologicamente massificata; e tuttavia questa rinuncia non è una sconfitta, come si deduce dalla ultime pagine del testo.

Il protagonista di "Agape, agape" denuncia dunque l’uccisione dell’artista per effetto della tecnologia, della massificazione del gusto, della democrazia: una tesi indubbiamente elitarista e reazionaria, e certamente non nuova (Eliot, Pound, Jünger si muovono su corde simili, per citare i primi che mi vengono in mente): "…because that’s what it’s about, that’s what my work is about, the collapse of everything, of meaning, of language, of values, of art, disorder and dislocation wherever you look…"
E  ancora: "…where individual is lost, the unique is lost, where authenticity is lost not just authenticity but the whole concept of authenticity, that love for the beautiful creation before it’s created that that, (…) That natural merging of created life in this creation in love that transcends it, a celebration of the love that created it they called agape, that love feast in the early church, yes."

La tesi apocalittico-elitarista per cui l’arte massificata può solo soddisfare l’entertainment e la tecnologia ha permesso ciò (Gaddis cita vari autori, persino Flaubert quando dice "L’unico sogno della democrazia è di elevare il proletariato al livello di stupidità della borghesia") è radicale e non nuova, appunto – tanto meno condivisibile.

Ma il senso del testo di Gaddis, IMHO, non è questo.

Il suo citare Tolstoj (La sonata a Kreutzer), Melville (Moby Dick), Bernhard (Il soccombente, vero modello ispiratore di Agape, agape, tanto che Gaddis scrive nei suoi appunti che sembra che Bernhard abbia rubato le sue idee ancora prima che lui le avesse), du Maurier (Trilby), Huizinga, Freud etc. non serve ad argomentare quella tesi bensì a indicare la affinità tra menti diverse in epoche diverse e la fratellanza (agape) tra queste individualità che è il risultato ancora possibile della creazione artistica – risultato e motore ancora possibile, anche oggi, della creazione artistica.

"…they’d say I’m afraid of the death of the elite because it means the death of me of course I can’t really blame them, I’ve been wrong about everything in my life it’s all been fraud and fiction, let everybody down except my daughters…"
Gaddis parla di sé, in realtà. E nelle ultime pagine il gioco del racconto autoreferenziale svanisce ed è l’autore che parla direttamente al lettore, senza più gioco o ironia (forse da ciò, anche, è venuta l’esigenza di imporre alcuni anni di attesa, dopo la sua morte, prima di pubblicare il testo).

Alcuni versi di Michelangelo (presenti in tutte le opere di Gaddis) esplicitano questo riferimento autobiografico: "O Dio, o Dio, o Dio/ Chi m’ha tolto a me stesso/ Ch’a me fusse più presso/ O più di me potessi, che poss’io?/ O Dio, o Dio…".
Lo scrittore anziano e malato, di fronte alla stesura di un’opera che deve rinunciare a scrivere, punta l’attenzione su quel "se stesso che avrebbe potuto fare di più", sulle possibilità di un artista da giovane frustrate dal mercato tecnologicamente massificato. Frustrate perché? Forse per aver cercato il consenso e l’immortalità in un’epoca in cui ciò è impossibile se non rinunciando a se stessi, appunto ("Quale immortalità se oggi c’è una nuova generazione ogni 4 giorni?", dice Gaddis).

La sconfitta individuale (del Soccombente Friedrich o dello scrittore di "Trilby" Svengali; ma anche di Gaddis che scrive "Il mio primo libro è diventato il mio nemico") è dunque frutto di un’ambizione troppo egocentrica e soprattutto male indirizzata: non il mercato massificato può fruire dell’opera creata dal "se stesso che può fare di più", ma proprio l’autore e soprattutto altri uomini con una sensibilità affine alla sua. In questo senso l’opera d’arte senza compromessi ha ancora senso.
Una tesi fino in fondo elitarista, senza dubbio, ma che assume credibilità come ‘confessione’ individuale (per di più sul letto di morte).
Oltre a tutto ciò, non bisogna scordare di dire che il testo è assolutamente bellissimo.

La commedia inedita di Kerouac

  E’ un’opera teatrale in tre atti, si intitola "The beat generation" (originale), pare sia saltata fuori da poco dalle carte "bottomless" di Jack Kerouac. Ne hanno fatto pubblica lettura (parziale) a New York Ethan Hawk e un paio di giovani attori.
Kerouac scrisse questo lavoro mentre aspettava l’uscita di "On the road".
Mai pubblicata né conosciuta, l’opera fu usata tuttavia – limitatamente al terzo atto –  per il soggetto di "Pull My Daisy,"un film del 1959 con Allen Ginsberg, Gregory Corso e Larry Rivers, e con la voce fuori campo di Kerouac.
Alla lettura era presente anche A. M. Homes che, tanto per dar sugo al gossip, ha detto che da adolescente, scoprendo i libri di Kerouac, aveva saputo anche che lo scrittore era stato ricoverato al Bethesda Naval Hospital nel periodo del suo concepimento: da ciò aveva fantasticato poter essere Kerouac suo padre – e Susan Sontag sua madre.
C’è poi un aneddoto divertente sulla "fine" della beat generation, ma non ho voglia di tradurlo.

Tutto ciò solo per informazione. Io non vado pazzo per Kerouac.
Nella foto, da sinistra, Ethan Hawk e la Homes

Ho scoperto Arcoiris

Meglio tardi che mai. Arcoiris è un archivio web gratuito di filmati decisamente poco diffusi. Ci si trovano, spulciando, vere rarità.

Per esempio, questo Pasolini che parla della "Lettera ad una professoressa" dei ragazzi di Don Milani pare si trovi soltanto qui – sebbene il materiale tv su Pasolini sia stato proposto qua e là molte volte. (Questo filmato richiede RealPlayer; per gli altri si può scegliere il formato.)

O questo ciclo di conferenze filosofiche curate da Salvatore Natoli sul tema "Le virtù dei non credenti" (tema che torna spesso nel blog Azione Parallela)

O questi commenti estemporanei di Furio Colombo e Umberto Eco sorpresi in diretta dalla notizia dell’elezione di Ratzinger.

O questo incontro con Sergio Rotino e Davide Bregola su "Resistenza60". O ‘uest’altro com Giulio Mozzi.

Eccetera.

Chiaramente Arcoiris e i filmati che contiene  sono tutti di un certo tipo, hanno per lo più una connotazione politica precisa. Ma sono filmati, non interpretazioni. Video canta e villan dorme.

Mozzi chiude i commenti

"Vibrisse" annuncia la chiusura dei commenti, causa difficoltà da parte di Giulio Mozzi a gestire il flusso di spam senza incappare in qualche errore e relative proteste.
Allora, se la decisione non è frutto di uno dei giorni saturnini che capitano a volte a Giulio, nessuno sa dare suggerimenti concreti per gestire in automatico almeno parte del filtraggio dello spam?

Andiamo! Quelli tecnicamente ‘imparati’ facciano uno sforzino.

Nicholson Baker: egocentrismo mansueto.

baker3Nicholson Baker è un signore di 48 anni che ne dimostra di più (è un po’ calvo, canuto, panciuto) ma la cui faccia è bonaria quanto il suo modo di scrivere.
Bon, questo dice niente, non è pertinente e fa molto critica da salotto; quindi Nicholson Baker è un signore di 48 anni che ne dimostra di più (è un po’ calvo, canuto, panciuto) ma la cui faccia è bonaria quanto il suo modo di scrivere., ecco.
Dunque, "L’ammezzato" ("The mezzanine", 1986) è il primo romanzo di Baker.  I suoi successivi 9 libri – almeno i romanzi – pare abbiano lo stesso taglio narrativo del primo. E nel primo – L’ammezzato, appunto, per tutte le 157 pagine si descrivono i fatti minimali e i pensieri di un impiegato di una grande azienda durante la sua pausa-pranzo. Per di più il protagonista è un giovane molto garbato, semplice, forse anche non tanto acuto, con un gusto tutto interiore per le elucubrazioni sulle proprie vicende quotidiane e sui propri ricordi. Il punto di partenza di questa non-storia, per esempio, è il fatto che al protagonista si rompe una stringa di una scarpa il giorno dopo esserglisi rotta l’altra: coincidenza che dà da pensare! E Howie (il protagonista) fa partire da lì il flusso dei suoi pensieri e ricordi (quando ha imparato a legarsi le stringhe da solo; quali altri tappe hanno segnato la sua crescita; come si usurano le stringhe? nel legarsele o nel camminare? e in modo simmetrico o no?). In quell’ora di pausa-pranzo il flusso dei pensieri si svolge incessante in un intreccio di ricordi e di piccoli fatti esterni, sempre narrati con piana serenità, quasi come in un romanzo di Walser o di Eichendorf. La predominanza delle divagazioni nella scrittura di Baker è del resto evidenziata dal fatto che quasi in ogni pagina c’è una nota a piè, spesso assai più lunga del testo sopra stante.

Ora, a dirla così il lettore medio si martellerebbe probabilmente le rotule, piuttosto che leggere "L’ammezzato" – anch’io ho pensato ‘oggesù, ma è tutto così?’; e invece Baker riesce a rendere avvincente (insomma, quasi) e interessante il flusso di quotidianità, di semplicità e di ‘infanzia’ nei pensieri del tranquillo impiegato Howie. E poco a poco le sue riflessioni su penne biro, scale mobili, salviette da bagno, modi di salutarsi tra colleghi, superfici lucide, differenza tra le cannucce di carta e quelle di plastica, fotocopiatrici e relativo odore, tappi per le orecchie et multa cetera, questo flusso joyciano e così decisamente antijoyciano costruiscono un mondo riconoscibile per chiunque, popolato di innumerevoli oggetti comuni la cui elencazione e disamina è in effetti il vero edificio narrativo percorso dal romanzo.
Per di più il ruolo di questi oggetti nei ricordi del protagonista è decisamente postmoderno: l’attenzione alle marche e alle confezioni, e al loro modificarsi astorico è un tratto inequivocabile. E un altro elemento congiunge Baker ai propri contemporanei americani: l’attenzione – fortemente coinvolgente per il lettore – verso quelle piccole azioni che ciascuno, più o meno, ha compiuto nella vita ma delle quali non ha mai parlato a nessuno (per es., in DeLillo, il lavarsi i denti usando un dito; o il chiudere gli occhi per tot secondi guidando in autostrada; in Baker, il comportamento per evitare di salutare un conoscente che si incrocia).

Quindi, chi volesse leggere qualcuno dei romanzi di Baker tradotti (ce ne sono 5, mi pare) è avvertito, poi non venga a dire ecc.

Gli infervorati e messianici fautori della "rivoluzione del web" son pregati di tenere il loro probabile disprezzo per libri come "Il mezzanino" dentro la cerchia dei propri sodali. 😉

Tre giorni con i giallisti a parlare dei misteri d’Italia

Trovo e riporto il seguente comunicato.

21, 22, 23 ottobre - Politicamente Scorretto - La letteratura indaga i gialli della politica

Un'iniziativa che si svolgerà il 21, 22, 23 ottobre 2005 presso la Casa della Conoscenza di Casalecchio di Reno e in diretta web su www.politicamentescorretto.net

Tre giorni di convegni, dibattiti, reading, testimonianze, presentazioni di libri, film e mostre, ideata e promossa dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Casalecchio di Reno con la collaborazione di Carlo Lucarelli, Andrea Camilleri e Libero Mancuso nel Comitato Scientifico.

Tre giorni d'indagine sui misteri irrisolti e omissis inquietanti della nostra Repubblica. Una sfida civile e culturale insieme che trova senso e radici nella storia di Casalecchio di Reno, scenario della tragedia del Salvemini e di uno
degli omicidi della Uno Bianca, e diventa emblema di quella dell'intera Provincia, drammatico sfondo di tante barbare stragi ed efferati delitti. Una sfida all'oblio del tempo, al giogo della paura e dell'assuefazione, al senso di impotenza e al fatalismo nel quale ormai quotidianamente cerchiamo difesa. Una sfida che usa l'unica arma degna
della società civile: la cultura.

Il programma completo e la diretta web il 21, 22,23 su www.politicamentescorretto.org

Tommaso Venturini

Chomsky votato L’Intellettuale più importante del mondo

  Una sorta di sondaggio organizzato da Prospect Magazine ha scelto l’intellettuale (vivente) più importante del pianeta (ovvero dell’occidente anglofono, per la precisione). Con 20.000 voti raccolti in totale (dilettanti!), ecco stilata la classifica, che nella top five vede

  1. Noam Chomsky
  2. Umberto Eco
  3. Richard Dawkins
  4. Václav Havel
  5. Christopher Hitchens

Già, l’Umberto si piazza subito dietro a Chomsky; mentre Toni Negri è 50° – cioè ancora in evidenza, come nella simile classifica pubblicata da Time qualche settimana fa. Altri italici cervelli: nessuno. Ma la cosa è più o meno simile per tutti gli altri paesi non anglofoni, come riconosce anche The Guardian. La qual cosa purtroppo toglie l’unica ragione di interesse di classifiche come questa: far conoscere nomi poco noti in quanto marginali rispetto a l’occidente dell’occidente, per così dire.
Su questo sondaggio, ironizza il Sunday Times – troppo facile.
(Ah, è sottinteso che la scelta di Chomsky non ha niente a che fare con la Linguistica.)