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Altri consigli di scrittura

Prendendo spunto dal box di consigli circolato recentemente (e piuttosto discutibile) – e dato che la lista analoga di Eco l’ha già postata lui, ho pensato di alzare un filo il livello (ovvero rimarcare supponenza :D) postando i XIII consigli di scrittura di Walter Benjamin.


Walter Benjamin
La tecnica dello scrittore in tredici tesi
tratto da: Strada a senso unico (Einaudi, 1983)

I. Chi intende procedere alla stesura di un’opera di vasto respiro si dia buon tempo e, al termine della fatica giornaliera, si conceda tutto ciò che non ne pregiudica la continuazione.

Queste 13 tesi sono un po’ datate, qua e là. Ma questo punto qui vale sempre.

II. Parla di quanto hai già scritto, se vuoi, ma non farne lettura finché il lavoro è in corso. Ogni soddisfazione che in tal modo ti procurerai rallenterà il tuo ritmo. Seguendo questa regola, il desiderio crescente di comunicare diverrà alla fine uno stimolo al compimento.

Questa è grosso modo una bestemmia per chi mette in rete ogni riga, anche come work in progress. Però io farei così, ecco.

III. Nelle condizioni di lavoro cerca di sottrarti alla mediocrità della vita quotidiana. Una mezza quiete accompagnata da rumori banali è degradante. Invece l’accompagnamento di uno studio pianistico o di uno strepito di voci può rivelarsi non meno significativo del silenzio tangibile della notte. Se questo affina l’orecchio interiore, quello diventa il banco di prova di una dizione la cui pienezza soffoca in sé persino i rumori discordanti.

Ricordiamo che Benjamin parla di saggistica, in fondo; e una saggistica sostanzialmente critica.


IV. Evita strumenti di lavoro qualsiasi. Una pedante fedeltà a certi tipi di carta, a penne e inchiostri ti sarà utile. Non lusso, ma dovizia di codesti arnesi è indispensabile.

Aggiornando: tastiere comode, monitor non troppo luminosi, software familiare.


V. Non lasciarti sfuggire alcun pensiero, e tieni il tuo taccuino come le autorità tengono il registro dei forestieri.

Moleskine? No, grazie. E Twitter non credo vada bene. 😀


VI. Rendi la tua penna sdegnosa verso l’ispirazione ed essa l’attirerà a sé con la forza del magnete. Quanto più lento sarai nel decidere di mettere per iscritto un’intuizione, tanto più matura essa ti si consegnerà. Il discorso conquista il pensiero, ma la scrittura lo domina.

Putroppo un pessimo scrittore sarà anche un pessimo "autocritico", per quanto rumini i propri pensieri.


VII. Non smettere mai di scrivere perché non ti viene più in mente nulla. E’ un imperativo dell’onore letterario interrompersi solo quando c’è da rispettare una scadenza (un pasto, un appuntamento) o quando l’opera è terminata.

E qui anche i blogger più trash cominciano ad amare Benjamin. (Notare lo snobismo intellettuale della seconda frase: se ho una scadenza per la mia scrittura, allora non scrivo. Ecché!)


VIII. Occupa una stasi dell’ispirazione con l’ordinata ricopiatura del già scritto. L’intuizione ne sarà risvegliata.

Fare copiaincolla non ha lo stesso effetto.


IX. Nulla dies sine linea: sì, però qualche settimana.

E qui invece i blogger si perplimono. 😉


X. Non considerare mai perfetta un’opera che non t’abbia tenuto una volta a tavolino dalla sera fino a giorno fatto.

Sarà per questo che non inizio neanche, a scrivere.


XI. La conclusione dell’opera non scriverla nel solito ambiente di lavoro. Non ne troveresti il coraggio.

Un filo di romanticismo; ed emerge il flaneur Benjamin.


XII. Gradi della composizione: pensiero, stile, scrittura. Il senso della bella copia è che in questa fase l’attenzione va ormai soltanto alla calligrafia. Il pensiero uccide l’ispirazione, lo stile vincola il pensiero, la scrittura ripaga lo stile.

(Fa niente, Benjamin è così.)


XIII. L’opera è la maschera mortuaria dell’idea.

(…Ed è anche così.)
(Non cercavate mica regole per scrivere un best seller, vero?)

P.s.: Se non l’ho già detto, io, benché straparli di letteratura in rete da 10 anni – e con una certa logorrea – non ho mai pensato di scrivere.
Certo, se mi viene in mente un candidato best seller, magari cambio idea.

Papiro news

Ho fatto un titolo che sembra preso da "Asterix e Cleopatra", dove c’è il cattivo che fa colazione leggendo la sua copia di FaraoneSera. Ma del resto…

Oggi su Repubblica Salvatore Settis aggiunge un’ulteriore replica alla querelle sul Papiro di Artemidoro. E lo fa sfilandosi – per ora – dal proseguire la tenzone con Luciano Canfora a colpi di articoli di quotidiani (ne sono usciti mi pare 13 in una settimana; i due illustri accademici verranno certamente invitati alla prossima edizione de L’isola dei famosi).
Settis in sostanza dice che non può rispondere compiutamente alle questioni poste da Canfora finché lo studio e la pubblicazione dei dati sul papiro non saranno completati (tra qualche mese, pare). Continuare la "guerra" a colpi di articoli è inutile, dice il direttore della Normale di Pisa confermando comunque, ovviamente, le proprie tesi.

Gli articoli usciti in precedenza si possono leggere nelle rassegne stampa qui  (scansioni PDF) e qui (solo testi).
Particolarmente interessanti l’intervista a Canfora sull’Unità del 17 scorso e l’articolo perplesso e un po’ preoccupato di Ernesto Ferrero su La Stampa. Quest’ultimo, Ferrero, scrive infatti: "L’affaire mi riguarda anche personalmente: come autore e come torinese. Come autore, perché la Compagnia per l’Arte della Compagnia di San Paolo mi ha commissionato un romanzo che è una libera reinvenzione narrativa della vicenda. Ha come titolo La misteriosa storia del papiro di Artemidoro, è uscito in prima battuta come allegato della Stampa e adesso è stato ripubblicato nei Tascabili Einaudi." Ferrero teme (spera)  insomma di diventare un Dan Brown involontario.

In ogni caso continua a sembrare curiosa l’asprezza del confronto e soprattutto lo spazio che ha avuto sulla stampa quotidiana: impossibile non sospettare che tale rilevanza mediatica sia dovuta più alla notorietà e all’impegno civile dei due intellettuali che all’argomento dibattuto (per dire: attaccare Settis vuol dire anche attaccare colui che il ministro Rutelli ha nominato due mesi fa presidente del ricostituito Consiglio superiore dei Beni culturali; ma questa è dietrologia, discorsi poco seri, roba da blog; ah già!, questo è un blog).

Papirologi alle armi – Segue

Quod demonstrandum erat, ieri sul Corriere Luciano Canfora risponde a Salvatore Settis con una mezza paginata di puntini sulle i, questioni e confutazioni. Non lo fa però per le rime, Canfora; nel senso che non raccoglie le sarcastiche provocazioni di Settis e ignora tutte le obiezioni che il Rettore della Normale di Pisa ha messo nel suo articolo su Repubblica con lo scopo evidente di far da sfottò.
Luciano Canfora invece risponde molto tecnicamente e solo ai punti che ritiene rilevanti. Si vede che il sarcasmo di Settis non gli è piaciuto.

Ovviamente non entro nel merito del contendere (come potrei?), però la risposta canforiana scaccia il mio sospetto di una concordata ostentazione di piume. Ancor più interessante sarebbe a ‘sto punto sapere quali regresse belligeranze e insoluti sgarri stiano alle spalle di cotanto incrociar di alabarde. Fazioni politiche? Cattedre contese? Offese ai padri (intesi come insegnanti di riferimento) ("Pater, hercle, tuus – ille inquit  – male dixit mihi!")? Ah, saperlo! Saperlo!

Dal Corriere di ieri, tra l’altro, vengo anche a sapere che la vexata quaestio non è iniziata sabato su Repubblica, bensì giovedì sul Corriere; ed è proseguita, con interventi di altri filologi di chiara fama, ancora sul Corriere, su Avvenire, su La Stampa e su QN. Almeno 7 articoli corposi in pochi giorni su quotidiani nazionali.
E tutto per discutere dell’autenticità di un papiro!

Mi piacerebbe procurarmi gli altri articoli, a questo punto. Dopo di che scrivo a Canfora e chiedo lumi dietrologici (perché ovviamente io sto dalla sua parte, salvo sorprese): in passato rispose con cordialità, può darsi lo faccia ancora.

Il romanzo nel, per così dire, Terzo millennio

A me, che nel 2005 si vogliano labellare le ‘cose’ del ‘terzo millennio’ (o anche "il/la … del secolo"), a me mi suona ridicolo – e pazienza finché lo fanno i giornalisti, le cui parole volano nell’arco di 24 ore.
Ciò nondimeno volevo linkare la proposta di Davide Bregola, il quale chiede a chi voglia dargliela (critici, scrittori, lettori) un’opinione sul romanzo italiano prossimo venturo: quale debba essere, quale si preferirebbe fosse, quale ci si rammarica che si preannunci.

Ha senso cercare di stilare questa sorta di manifesti programmatici? No.
O meglio: non ha senso se deve essere un ‘dettare la linea’ in stile anni ’70 (anni ’60, anni ’50): sono operazioni che, se malauguratamente hanno successo, ottengono solo di a) favorire la pubblicazione di opere sterili; b) (soprattutto!) ostracizzare pregiudizialmente chi non si allinea.

Può aver senso invece come pretesto per parlare di generi (anche se oggi un sacco di gente odia parlare di generi), di finalità della scrittura narrativa, di panorama delle nazionali lettere. E’ anche vero che questa cosa del pontificare su cosa si debba o non si debba scrivere produce montagne di bit (e collinette di inchiostro) che passano e vanno più o meno come le parole dei giornalisti di cui sopra.

Tutta ‘sta premessa è probabilmente solo l’excusatio non petita (ay!, culpa manifesta) del fatto che io avrei un’idea di cosa mi piacerebbe leggere. Ma sottolineo: di ciò che come lettore mi piacerebbe leggere, cioè di cosa vorrei che si scrivesse in più, che si scrivesse anche. Lungi da me il dire agli scrittori cosa scrivere o cosa non scrivere; però, agli scrittori che hanno un’affinità coi miei gusti, vorrei dire: presente! se scrivete quella roba lì io vi leggo.

Quella roba lì ho già detto in passato in cosa consista: l’ho detto qua e anche qua. Aggiungo magari anche ciò che ho detto qua, verso la fine (ops! non è in archivio; allora riassumo: narrativa che fa inchiesta; che, con la libertà della finzione, dice ciò che il giornalismo non dice quasi più su fatti reali, importanti, politici).

Poi magari mando anche la mail che Bregola chiede per contribuire al suo ‘sondaggio’. Accidia permettendo.

Faccio outing e annuncio il mio amore per Nanni Balestrini

In effetti io lo amo da sempre, quell’uomo. Ma tale fatale passione è rimasta a lungo sotterranea, blandamente carsica, oscuramente ìnfera.
Avevo letto cose di Balestrini tanti anni fa; occasionalmente mi è capitato ancora, ogni tanto, di trovare qualche sua poesia.
Ma, non avendo allora ancora accettata la mia vera natura, relegavo il gradimento per quelle letture nell’ammezzato dei divertissement.
Ma ora che i veli si sono, già da tempo, lacerati; ora che, casualmente, mi sono procurato 5 vecchie edizioni di vecchi libri Suoi(*), ovvero di uno dei pochi e semidimenticati oulipiani italiani; ora che la rapida lettura-zapping di parti di quei libri mi ha reso, in quella direzione, la vista, sì come Saulo soccorso da Anania; ora non più nasconderò a me stesso e allo mondo intiero la mia devozione amorosa nei confronti di colui le cui opere, a partire da questo istante, mi affretterò a procurarmi costi quel che costi.
Ch volesse darmi il proprio aiuto in tale recherche, ha fin da ora la mia gratitudine morale e materiale.
I libri giuntimi, che dunque posseggo, sono i seguenti:
La violenza illustrata, Einaudi 1976
Ipocalisse, Scheiwiller 1986
Il pubblico del labirinto, Scheiwiller 1992
Le ballate della signorina Richmond, Cooperativa scrittori 1977
Il ritorno della signorina Richmond, Edizioni Becco giallo 1987.

(*) Rendo profondi ringraziamenti a Luca Letturalenta che me li procurò materialmente.

Quest’uomo era un genio

"Potremmo ovviamente liberare negli strati alti dell’atmosfera la nostra ormai collaudata tossina pesce-palla, che provoca all’istante crisi di identità. Non ci sono particolari problemi tecnici da risolvere. E’ di una facilità quasi risibile. Potremmo anche immettere fino a due milioni di larve nel loro riso nello spazio di ventiquattr’ore. Le larve sono già pronte, ammassate in certi depositi segreti dell’Alabama. Abbiamo freccette ipodermiche capaci di screziare la pigmentazione del nemico. Abbiamo mezzi per far marcire, imputridire, arrugginire il loro alfabeto. Sono cose eccezionali. Abbiamo una sostanza chimica astringi-capanne che penetra nelle fibre dei bambù, facendo sì che la capanna soffochi i suoi occupanti. E diviene operativa solo dopo le 10 di sera, quando la gente dorme. La loro matematica è in balìa di un numero irrazionale, inventato da noi, che provoca suppurazione. Abbiamo addestrato una certa specie di pesci ad aggredire i loro pesci. Abbiamo il letale telegramma stritola-testicoli. E le società dei telegrafi sono pronte a collaborare. Abbiamo una sostanza di colore verde che, bè, meglio non parlarne. Abbiamo una parola segreta che, se pronunciata, produce fratture multiple in ogni essere vivente che sitrovi entro un’area vasta come quattro campi da football…"

Donald Barthelme
, "Relazione" (in "Atti innaturali, pratiche innominabili") (neretti miei)

Questa sì che è grande poesia!

     …
    Non vado più a far le ferie con lui

    Vuole sempre usare la mia macchina.
                                                                        E io
non vado più a far le ferie con lui.
    Da Milano a Bologna
ottantamila lire
solo di panini.

    Adesso gli faccio fare una modifica.
    Ho trovato un meccanico
che mi farà una modifica:
la faccio mettere a toast.
    Spenderò qualche lira di più
però lui non potrà più usare la mia macchina

    Dammi indietro gli orecchini di mia suocera.
    Quelli bianchi e neri a righe, dammeli indietro!
    Perché devi essere così?
    Non prendere scuse, ammetti di aver sbagliato!
    Perché devi essere così?
    …

Limpidi inglesi, criptici irlandesi

"English writers for the most part try to follow Orwell’s dictum that  prose should be a pane of clear glass through which you look," he  said. "But Irish writers think of prose style as a distorting lens.  We love that ambiguity; we love that a word can have three or four  meanings at the same time."

Questo il pensiero di John Banville riportato in un articolo sul New York Times. Banville è uno scrittore; non c’è problema a perdonargli questa categorizzazione fatta con l’accetta tra scrittori inglesi e irlandesi.
E John Banville ha vinto da poco il  Man Booker Prize, ovvero il  "Britain’s most influential literary award", suscitando un certo disappunto nell’ambiente editoriale e letterario britannico (così dice almeno l’articolista del NYT, Sarah Lyall).

Ora, John Banville è assai tradotto in italiano; quindi qualcuno che lo ha letto lo dovrei trovare. Potrebbe costui farmi sapere che roba scrive mr.Banville? Così mi regolo, dato che in ciò che ho trovato su di lui ci sono sia argomenti pro che contro il mio gusto.
Thanx in advance.