Faccio una nuova mostra

In effetti più che una mostra sarà un’allestimento: le grandi vetrine dell’atrio della Biblioteca San Giorgio di Pistoia sono uno spazio impegnativo ma anche molto caratterizzante. Non vi si possono collocare delle sculture e delle piccole installazioni senza tener conto del luogo e dell’àmbito di quegli spazi – oltre che della loro forma. Del resto le mostre organizzate dalla San Giorgio richiedono sempre un’affinità con la biblioteca che le ospita.

In quest’ottica ho pensato di fare un allestimento in cui le sculture possano essere viste come una serie di stimoli capaci di evocare una narrazione potenziale (ovvero molte narrazioni potenziali), un (molti) racconto (racconti). Un po’ nella maniera in cui una certa disposizione delle figure dei tarocchi crea gli spunti per i racconti di Calvino in “Il castello dei destini incrociati” – con la differenza che nella mostra le storie non saranno esplicitate, non saranno scritte: saranno solo proposte come possibilità.

I visitatori della mostra (e gli utenti della biblioteca, volendo) potranno scrivere il soggetto che le opere esposte gli hanno fatto venire in mente, e lasciarlo in un contenitore posto alla fine della mostra.

La mostra sarà aperta da lunedì 30 maggio fino al 30 giugno, nell’orario di apertura della San Giorgio.

Lunedì 30 alle 17 si terrà una piccola inaugurazione.

Su Facebook: Raccontare senza storie – Mostra di sculture e quadri di Paolo Beneforti

Ringrazio fin da ora la Biblioteca San Giorgio per l’iniziativa.

 

Il salto di qualità

Quando Silvio B attacca i magistrati di Milano e si dichiara perseguitato da loro, gran parte del suo elettorato è d’accordo con lui. Gli crede. Gli crede anche la parte più moderata e informata del suo elettorato; specie quella parte proveniente dai partiti che furono distrutti da Tangentopoli.

Gli crede anche quella parte del suo elettorato che non gli crede su molte altre cose: non gli crede quando si proclama innocentissimo; non gli crede quando dice che non fa leggi ad personam; non gli crede quando dice che non esiste conflitto di interessi e che i “comunisti” sono un pericolo. Questa parte moderata e informata dell’elettorato di Silvio B non gli crede, quando fa proclami su queste ultime (ed altre) cose; però gli crede quando dice che ci sono magistrati politicizzati che hanno affondato la Prima Repubblica e vogliono togliere di mezzo Berlusconi.

Negli ultimi attacchi alla Magistratura, però, Silvio B ha fatto un salto di qualità non di poco conto: ha messo nel calderone dei comunisti-toghe rosse-eversivi- cancro della democrazia anche la Corte costituzionale.

Gli crede, quella parte più moderata e informata del suo elettorato, quando Silvio B accusa di eversione la Corte costituzionale e “piccona” una delle massime istituzioni della Repubblica italiana? Probabilmente no, ma di certo è un giocare col fuoco.

Prossima fermata: Urbanistica

Mi ero iscritto a parlare alla convention “Prossima fermata: Pisa“. Poi non sono potuto andare per una roba imprevista che, vabbè.

Il tema di questa tappa era ampio: “...parlare di sapere: sapere come conoscenza, ed economia della conoscenza, dall’asilo nido ai poli tecnologici, passando per scuola, università e ricerca. Di sapere come informazione, come diritto a sapere cosa succede intorno a noi.”  Su questa traccia, bisognava scegliere una parola per il proprio intervento. Io ho scelto “Urbanistica”. Il tempo a disposizione era di 5 minuti a testa. Questo è l’intervento che avevo preparato:

La parola che ho scelto non è una parola nuova. “Urbanistica”. Suona vecchio, forse.

Perciò, prima di illustrare brevemente la mia proposta, dirò perché credo si possa parlare di Urbanistica in una assise in cui il leit motiv dovrebbe essere il rinnovamento della politica e della proposta politica.

L’Urbanistica rappresenta, in Italia, una grande chance perduta. Un fallimento. Il fallimento della possibilità di incidere profondamente nella qualità della vita delle persone, nella loro crescita culturale, nella crescita economica di un territorio. L’Urbanistica dovrebbe progettare le città e governare la loro crescita, nel contesto di una visione generale,  scelta dalla Politica, di come dovrebbero essere o diventare le nostre città e i nostri territori per far coesistere in modo armonico e ottimale sia l’esigenza di produrre ricchezza, sia l’esigenza di avere spazi dove vivere, socializzare, spostarsi, avere a disposizione tutti i servizi indispensabili ad una accettabile qualità della vita.

Le scelte urbanistiche sono scelte molto concrete e che incidono enormemente nella vita di una comunità. Ecco perché è indispensabile capirle, discuterle e dar loro la giusta importanza anche nella politica di domani.

Ma l’Urbanistica rappresenta anche un fallimento storico, dicevo. Un altro dei fallimenti della politica italiana nella traiettoria storica del suo degrado. Perché la pianificazione urbanistica, messa nelle mani dei politici, ha nel complesso ceduto all’esigenza dei politici di costruirsi un consenso rapido, e mantenerlo giorno per giorno. L’Urbanistica non esiste nei tempi brevi. Un ottimo Piano Regolatore, attuato al meglio, comincia a dare effetti positivi per la vita delle persone dopo una decina di anni dalla sua entrata in vigore. Per i politici è necessario invece avere risultati di cui attribuirsi il merito in tempi brevi. Ecco quindi che, a dispetto della mole enorme di leggi e normative che impegnano gli enti locali ad adempimenti urbanistici parimenti ponderosi, le nostre città crescono attraverso episodi sparsi e slegati, attraverso varianti continue ai Piani Regolatori, attraverso le spinte degli interessi privati che troppo spesso la politica non riesce a governare.

Lo stato delle strutture e delle infrastrutture dei nostri territori (spesso non scandaloso, specie nei nostri Comuni toscani, ma sempre insufficiente e disomogeneo, così come è insufficiente la disponibilità di servizi per i cittadini) – lo stato delle strutture e delle infrastrutture, dicevo, è un àmbito sul quale la politica deve saper fare delle proposte, ma proposte che abbiano dietro una visione complessiva di come vogliamo che siano le nostre città e i nostri territori.

Ecco allora la mia proposta, fatta di tre fasi.

1. Istituire un Centro di studi storico-urbanistici che analizzi l’evoluzione dei territori (i territori di una provincia, o di una regione), tracci quali sono state le tendenze manifestatesi negli ultimi 30 o 40 anni, indichi le soluzioni per proseguire in futuro nello sviluppo urbano (là dove ci siano ancora spazi per lo sviluppo urbano) ottimale sia in ottica ambientale, che sociale, che economica.

2. “Obbligare” gli amministratori locali eletti ad acquisire un minimo di competenze urbanistiche e un minimo di conoscenza della storia urbanistica del loro territorio. (Un corso di formazione, insomma, magari organizzato dal medesimo Centro studi di cui sopra.)

3. Eseguire (sempre a cura del Centro studi storico-urbanistici) uno studio per calcolare i costi infrastrutturali che gravano sulle aziende e sui cittadini di un territorio. E, su questa base, suggerire quali modifiche possano far diminuire questi costi. Ricordiamo che un’azienda ha interesse a stare in una zona dove le infrastrutture le consentono di essere più competitiva, è pacifico.

Ultima annotazione. L’Urbanistica non va contro l’ambientalismo. E’ il contrario: è nei territori dove lo sviluppo urbanistico non è governato che l’ambiente non è tutelato. Gli ambientalisti hanno ottime ragioni, guardando alla pessime o inesistenti scelte urbanistiche fatte in passato in certi territori, per diffidare della pianificazione urbanistica. Ma è una diffidenza che deve venir meno, perché bloccare semplicemente lo sviluppo urbano non migliora né i territori né la vita dei cittadini che devono viverci.