La beatificazione del Gran Reazionario

E quindi domani si santifica (anzi, beatifica, dovrebbe essere una cosa diversa, no?) il gran reazionario della Chiesa cattolica. Niente di strano, niente di male: la Chiesa di oggi è stata in gran parte forgiata da Wojtyla e dai suoi seguaci in quasi 30 anni di papato: logico che questa Chiesa voglia esaltare il suo artefice.

Nell’occasione, però, si cercherà anche di sostituire alla biografia di GP2 la sua agiografia: lo si fa spesso coi morti, figuriamoci coi santi!

E quindi si cercherà di far dimenticare l’azione di sistematica distruzione, da parte del papa polacco, di tutte quelle istanze di rinnovamento e di apertura al progresso che attraversarono la Chiesa cattolica apostolica romana in quella straordinaria stagione culminante nei tre anni del Concilio vaticano secondo, aperto da Giovanni XXIII e chiuso da Paolo VI. Distruzione culminata nella redazione del Nuovo Catechismo universale della Chiesa cattolica, opera in gran parte dell’allora cardinal Ratzinger.

Le grandi innovazioni pianificate e, in parte, attuate dal CVII erano state in parte già accantonate da Paolo VI nella seconda parte del suo pontificato, quella nella quale, di fronte alla velocità e radicalità dei mutamenti sociali (siamo negli anni ’70), la Chiesa ritenne di dover “frenare” e operare per una sorta di “ritorno all’ordine”. Tuttavia nella comunità dei cattolici, specie in quelli formatisi negli anni ’60, le istanze del Concilio erano (e sono, credo) radicate (penso all’ecumenismo, al primato del dialogo, all’esigenza di andare incontro agli “ultimi”). Per tutti costoro il pontificato di GPII ha rappresentato una continua frustrazione e delusione, una marcia indietro, una restaurazione. Si pensi, per esemplificare questo conflitto, all’opera – oggi piuttosto dimenticata – di Ernesto Balducci

 

Assurdo! Assurdo!

Io imprenditore che voglio evadere le tasse, e che ho dei fornitori esteri, potrei mettermi d’accordo con il mio fornitore in questo modo: lui apre delle società offshore; poi vende i suoi prodotti alla mia ditta ad un prezzo 10 volte più alto del normale attraverso queste società; poi la differenza di prezzo me la restituisce versandola su un mio conto estero (e tenendosi una percentuale per sé). In questo modo la mia ditta risulta aver speso la cifra gonfiata e su quei soldi non ci paga le tasse.

Perfetto, no?

Bene, secondo Silvio B questo sistema qui sopra – che è ciò di cui egli è accusato nel processo Mediatrade – è una cosa assurda e inverosimile. Perché, dice il Gran Bugiardo, quale imprenditore terrebbe un dirigente dell’ufficio acquisti che “fa la cresta di 21 milioni su 30”? (Silvio chiama “fare la cresta” la maggiorazione di prezzo, che però non sono soldi che si tiene il dirigente dell’ufficio acquisti, nossignore: son soldi che vanno al venditore, tale Frank Agrama di cui Silvio è accusato di essere “socio occulto”.)

E poi, dice ancora l’imputato Berlusconi, è assurdo che io fossi socio di Agrama per farmi restituire i soldi della “cresta”: bastava che facessi una telefonata e quei soldi Mediaset me li versava sul mio conto personale. Già, ma per farli scomparire dall’imponibile, quei soldi, non basta mica trasferirli sul conto del proprietario della ditta! Devono risultare esser stati spesi per l’attività aziendale (comprare programmi tv, nella fattispecie, e infatti Ograma vende programmi tv).

Insomma, la regola propagandistica di Silvio B pare essere ancora quella mutuata da Barnum: gli spettatori (gli italiani, nel contesto) sono bambini di 12 anni a cui si può dare a bere di tutto.