Letture del 2008

I libri che ho letto nel corso dell’anno che sta sgocciolando via sono quelli elencati sotto.

Di rilievo, nell’elenco, cito la rilettura (completa, stavolta) de L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon, monumentale opera surreale e grottesca che però dovrei rileggere per apprezzarla meglio (una lettura troppo frammentaria non è adatta a questo libro).

Poi è d’obbligo ricordare la lettura di moltissimi dei romanzi di Terry Pratchett (una piacevole scoperta, specie in lingua originale); anche i romanzi di Douglas Adams successivi alla Guida galattica li ho letti quest’anno, con grande spasso.

Ma direi che la cosa rilevante, nelle letture 2008, è il fatto che 36 dei 59 titoli letti siano in formato e-book (e probabilmente qualcuno mi sono dimenticato di annotarlo). E, considerando sia gli ebook gratuiti che quelli venduti a basso prezzo, direi che il mio lettore di ebook Sony Reader ha già ampiamente ammortizzato il suo costo.

2008

Alessandro Barbero, Barbari – Immigrati, profughi, deportati nell’impero romano.
Alessandro Barbero, Carlo Magno.
Alessandro Barbero, 9 agosto 378. Il giorno dei barbari.
Georges Duby, Le origini dell’economia europea.
Michel Houellebecq, Le particelle elementari.
Kurt Vonnegut, Un uomo senza patria.
Luciano Canfora, Giulio Cesare.
Umberto Eco, Sator Arepo eccetera.
Thomas Pynchon, L’arcobaleno della gravità.
Vernor Vinge, Rainbows End.
Terry Pratchett, Wyrd sisters.
Terry Pratchett, Monstrous regiment.
Luciano Canfora, Libro e libertà.
Desmond Morris, La scimmia nuda.
Luciano Canfora, 1914.
Pulsatilla, Giulietta Squeenz.
Terry Pratchett, Hogswatch.
Rex Stout, Abbiamo trasmesso.
Rex Stout, Troppi clienti!.
Terry Pratchett, Teatro di crudeltà.
Terry Pratchett, Il piccolo popolo dei grandi magazzini.
Terry Pratchett, Night Watch.
Terry Pratchett, The fifth elephant.
Terry Pratchett, Jingo.
Kurt Vonnegut jr., Madre notte.
P. K. Dick, Ubik.
James Gunn, Si garantisce la felicità.
Terry Pratchett, Feet of clay.
Terry Pratchett, L’arte della magia.
Terry Pratchett, La luce fantastica.
Terry Pratchett, Mort l’apprendista.
Terry Pratchett, The colour of magic – The graphic novel.
Piergiorgio Odifreddi, Perché non possiamo dirci cristiani.
Terry Pratchett, Uomini d’arme.
Francesco Guccini, Cittanòva Blues.
Terry Pratchett, A me le guardie!.
Desmond Morris, Il cane, tutti i perché.
Arthur C. Clarke, 2001, odissea nello spazio.
Douglas Adams, Praticamente innocuo.
Douglas Adams, Addio e grazie di tutto il pesce.
Douglas Adams, La vita, l’universo e tutto quanto.
Douglas Adams, Ristorante al termine dell’universo.
Kurt Vonnegut, Mattatoio n°5.
Arthur Conan Doyle, The hound of Baskervilles.
Robert Luis Stevenson, Treasure Island.
Arthur Conan Doyle, A study in scarlet.

[Repost] Debord disinnescato

Post del’anno scorso che ripropongo. L’anniversario e l’articolo che cito sono anch’essi di marzo 2007.

debordQuarant’anni fa usciva “La società dello spettacolo” di Guy Debord. Un ottimo articolo del saggista Antonio Gnoli (cfr. “I prossimi titani. Conversazioni con Ernst Jünger”) ricorda l’utopia e la lungimiranza di questo testo celebre, all’epoca di grande impatto – molto citato ma non altrettanto letto (e anche abbastanza dimenticato, almeno come approccio di ulteriori studi).

In effetti il capitalismo moderno – il mercato moderno – si è fatto un sol boccone di Debord e delle sue velleitarie utopie. Il Situazionismo è stato risucchiato nel venir meno di tutti i fermenti culturali e politici nati tra fine anni ’60 e inizio ’70. E bisogna ammettere che il linguaggio di Debord e la parte propositiva/ottativa del suo testo prestavano il fianco a tale fraintendimento.

Dico “fraintendimento” perché – come nel caso di Marx un secolo prima – in Debord c’è una parte di analisi della società che sta benissimo in piedi anche senza l’altra parte, quella degli intenti e degli obiettivi. E quella parte di analisi resta ancora valida e attuale, anche se la realtà del mercato globale è andata persino oltre le previsioni di Debord, ed ha nel frattempo sviluppato la capacità di assimilare le voci di dissenso o di semplice distinzione: invece di combatterle o isolarle le trasforma in spettacoli anch’esse (possibilmente a pagamento).
È, questa, una capacità che è cresciuta in tutti questi 40 anni. Paradossalmente anche l’impatto “rivoluzionario” dei fermenti sociali e politici degli anni dal 1968 a (diciamo) il 1977 (almeno in Italia) ha contribuito a far crescere questa capacità di “disinnescare assimilando” attraverso il velleitarismo e radicalismo di quei fermenti.

Niente di nuovo, nel dire oggi tutto ciò. Don DeLillo, in Cosmopolis (2003), ha dipinto il capitalismo moderno proprio in quei termini: il dissenso come sfogo necessario ma neutralizzabile (ed infatti quel romanzo suonava un po’ datato appena uscì).
Vari altri scrittori (Lethem, Wallace etc) nell’ultimo decennio hanno descritto il mondo contemporaneo mettendone in risalto il grottesco, l’assurdo, il teatrale. Gli scrittori, cioè, colgono quel mutamento “patologico” della realtà attuale per cui i comportamenti veri e quotidiani tendono ad imitare quelli fittizi inscenati per far vendere le merci. L’elemento patologico, in ciò, è nel fatto che anche l’identità e l’equilibrio dei singoli si adeguano alla logica del mercato. (Cfr. Dorfles, “Fatti e fattoidi“.)
Tutto ciò è in effetti il compimento delle peggiori previsioni di Debord, il quale infatti, nei “Commentari sulla società dello spettacolo” (1988), concludeva dicendo che “Il vero ha smesso di esistere quasi dappertutto, e il falso indiscutibile ha ultimato la scomparsa dell’opinione pubblica“(*).

Ciò nondimeno, dicevo, l’analisi di Debord mantiene validità (specie se la si spoglia degli orpelli linguistici della critica marxista): lo dimostra il fatto che la sostanza di essa – cioè la descrizione del potere politico – prefigura quella crisi del sistema democratico che oggi si comincia ad avvertire e di cui si è iniziato a parlare solo da qualche anno.

(*) La “scomparsa dell’opinione pubblica” è anche l’allarme/diagnosi di chi, in Italia negli ultimi mesi, vede il pericolo insito nel ritorno al governo della destra berlusconiana.

Petrarca in barca. Un’antica suggestione

Ho iniziato a leggere la Storia confidenziale della Letteratura italiana. 2 – L’età del Petrarca di Giampaolo Dossena.

Pensare al Petrarca cosa vi fa venire in mente? Io, ogni volta che leggo o penso al Petrarca, mi ricordo inevitabilmente il “Rapido fiume che d’alpestra vena/ rodendo intorno, onde ‘l tuo nome prendi,/ notte et dí meco disïoso scendi…“. Ed ogni volta che ho provato a rileggere quel sonetto – questa è la cosa curiosa – ho pensato che no, non era mica quella, la poesia che ricordavo, quell’immagine potente di un viaggio in barca su di un fiume ingrossato e turbinoso, al freddo, in inverno, per più giorni e più notti; un’immagine che mi porto dietro da almeno trent’anni e che è la sintesi più nitida che io conosca di un’idea di letteratura (e della poetica del Petrarca, ma questo è secondario).

In realtà, nella mia memoria, si sono fuse più fonti diverse; molte fonti diverse: dal Petrarca, intanto, ho fatto tutt’uno del Rapido fiume, del “Fra sì contrari vènti in frale barca mi trovo in alto mar, senza governo” e del “Solo e pensoso i più deserti campi/ vo mesurando a passi tardi e lenti“; e di questi versi forse mi è rimasta anche la descrizione di un critico, forse Giuseppe Petronio. Ma soprattutto a quell’immagine di viaggio, bizzarramente formatasi da ricordi liceali, hanno continuato negli anni ad attaccarsi e legarsi altre suggestioni letterarie, assai diverse tra di loro, molte delle quali nemmeno riesco a ricapitolare.

C’è la Vita di un perdigiorno (Eichendorff), c’è l’Odissea, e anche il Capitano Ulisse di Savinio; c’è Innisfree, l’isola sul lago (Yeats) e il Congedo del viaggiatore cerimonioso (Caproni); e persino ci sono quei versi di Sandro Penna che dicono “La vita… è ricordarsi di un risveglio/ triste in un treno all’alba (…)“. Ci sono poi molte altre cose, tra cui ricordi cinematografici. Tutto legato a quell’immagine petrarchesca – un’immagine in senso letterale, un ricordo visivo creato non dall’esperienza ma dalla letteratura (la letteratura ce l’ha, il potere di creare autentiche visioni).

Ecco, la cosa interessante da dire(*) riguardo a ciò è il fatto che le immagini – specie le immagini di sintesi, le immagini simboliche – hanno proprio la caratteristica di veicolare una concrezione di conoscenze e suggestioni che può essere anche ricchissima. È la ben nota differenza tra la conoscenza di sintesi veicolata, appunto, dalle immagini e quella dettagliata e “logica” veicolata dalle parole.

(Sono vent’anni che ho in mente di fare un quadro, da quella immagine del viaggio fluviale. Ovviamente non mi riesce.)

(*) Oddio, son cose banali, lo ben so; van viste nella prospettiva diaristica.

Non ci siamo /2

Il sindaco dimissionario di Pescara, tuttora inquisito per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla concussione, truffa, falso e peculato, dice che forse ci ripensa e ritira le dimissioni.

Perché “è la gente che mi ha votato e io rispondo solo ai cittadini elettori” (virgolettato su Repubblica di oggi).

Allora, al sindaco dimissionario D’Alfonso bisognerebbe far notare che quel concetto lì, per cui uno che è stato eletto può far quel che gli pare e risponde solo agli elettori, è il tormentone della demagogia di regime berlusconiana. E lui, D’Alfonso, è un membro del PD e non del PdL (ricordiamoglielo).

Ai dirigenti nazionali del PD che, dopo la revoca degli arresti domicialiari, si sono affrettati a criticare i magistrati che avevano arrestato D’Alfonso (come se le accuse fossero cadute!)… Boh, a loro non saprei che dire. Bella figura, state facendo. E magari non ve ne accorgete neanche!

Pescara: non ci siamo

Il sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso è stato rimesso in libertà (era agli arresti domiciliari) dal G.I.P., il quale non ritiene più necessaria la misura cautelativa ma – attenzione! – dice cheIn termini di gravità indiziaria il quadro accusatorio, già integralmente condiviso nel momento dell’adozione delle misure cautelari, rimane nel suo complesso confermato anche all’esito degli interrogatori di garanzia e delle ulteriori attività di indagine versate dal Pm“.

Quindi, secondo il documento con cui il gip De Ninis revoca gli arresti, D’Alfonso non è affatto innocente e l’inchiesta che lo accusa non è un errore o una forzatura del PM.

Quindi i titoli dei giornali di oggi (basati su indiscrezioni di quanto il gip ha reso oggi pubblico) sono decisamente fuori luogo. Così come appaiono fuori luogo le dichiarazioni di Veltroni (comunque abbastanza prudente) e ancor più quelle di Brutti, commissario del PD in Abruzzo. Quest’ultimo infatti si affretta a criticare l’arresto di D’Alfonso rilevando che “la prima ordinanza [quella dell’arresto] ha prodotto effetti gravi sotto il profilo istituzionale, poiche’ e’ stata la premessa dello scioglimento del comune, ed ha turbato fortemente l’opinione pubblica“, e che “Il ripensamento di oggi non annulla il danno“.

Insomma, Brutti, cioè colui che dovrebbe essere il garante dell’onestà del PD in Abruzzo, parla come se il Sindaco di Pescara fosse stato prosciolto da ogni accusa! E così non è, allo stato attuale delle cose. Se anche l’accusa di corruzione venisse derubricata in finanziamento illecito al partito, mica è un reato di poco conto, il finanziamento illecito! Un’intera classe politica è scomparsa dalla scena, nel 1992, sotto l’accusa di finanziamento illecito!

Riguardo a quelli che, all’interno del PD abruzzese, chiedono ora che D’Alfonso ritiri le dimissioni da Sindaco, non vorrei neanche fare commenti, se non sperare che il PD faccia piazza pulita di dirigenti come quelli quanto prima.

Insomma, alla prima prova di applicazione del rigore e dell’intransigenza sulla questione morale dopo la Direzione nazionale del PD, le belle parole spese da molti dirigenti e dallo stesso segretario sembrano già sfumate. Troppa fretta di assolvere e di togliere di mezzo l’immagine negativa caduta sul PD dopo le vicende giudiziarie delle settimane scorse.

[Repost] Calvino e le 12 Odissee

(Ripubblico un post di due anni fa. Ogni tanto ha senso, ripigliare da un certo punto – con l’idea di proseguirlo.)

Questo è un post pressoché compilativo, nel senso che di mio ci metto poco o nulla (si fa tanto prima e vengono anche meglio).

In “Perché leggere i classiciCalvino si occupa anche dell’Odissea. Quella lì di Omero, sì.
Nel mostrare la ricchezza di quel testo antico, Calvino mostra che dentro l’Odissea sono contenute altre ‘Odissee‘, implicite, potenziali o reali. Dodici, ve ne sono contenute. Eccole:

1. La Telemachia, il viaggio di Telemaco alla ricerca di cosa? Della sorte del padre. Telemaco cerca appunto l’Odissea che non conosce.
2. Il racconto di Proteo a Menelao, riferito poi a Telemaco, che parla di Ulisse sull’isola di Calipso e quindi include già tutto il viaggio del Laertiade.
3. Alla corte dei Feaci un cantore cieco narra le vicende di Troia e di Ulisse: è la storia da cui scaturisce l’Odissea: una ur-Odissea.
4. Ulisse, nell’udire il cantore cieco, scoppia in lacrime, rivela la sua identità e racconta tutto il suo viaggio fin lì: è Odissea Libri IX-XII.
5. Nel suo racconto Ulisse narra la discesa nell’Ade e la profezia che gli fa Tiresia, il quale gli svela il seguito del suo viaggio e oltre: un’Odissea oltre la narrazione effettiva.
6. Ulisse incontra le sirene che, per incantarlo, cantano le sue imprese – non si sa in che termini.
7. Il racconto che Ulisse, giunto a Itaca, fa al pastore Eumeo, poi ad Antinoo e poi a Penelope stessa per celare la sua identità: la storia di un cretese ridotto in miseria che ha viaggiato a lungo (ma quel preteso cretese è in effetti Odisseo, dunque i suoi viaggi inventati sono un’Odissea).
8. Ciò che Ulisse-falso-cretese racconta riguardo ad Ulisse, che avrebbe incontrato nei suoi viaggi.
9. Ulisse ha fama di astuto mentitore: il suo racconto ai Feaci (cioè Odissea IX-XII) potrebbe dunque essere tutto o in parte inventato, e costituire parte di un’Odissea in cui i fatti narrati nei Libri IX-XII sono falsi.
10. Tuttavia i viaggi di Ulisse sono raccontati anche in altre parti del poema: Omero stesso, quindi, autentica quelle vicende, e l’attenzione sulla realtà ‘comparata’ di tali vicende le fa rileggere diversamente.
11. Questa 11esima Odissea è uguale alla 4a e alla 9a, ma emerge ad un terzo livello di lettura: la collazione delle varie narrazioni delle vicende di Ulisse sparse nel poema. In virtù della varietà e frammentazione dei racconti collazionati, questa 11esima Odissea appare più arcaica delle altre; e tuttavia è necessariamente più recente, essendo ottenuta da quelle.
12. C’è infine l’ipotesi che le avventure dell’Odissea siano state inventate da Omero perché il viaggio di Ulisse non era abbastanza avvincente e significativo: eco del viaggio reale di Ulisse sarebbe nel racconto di Ulisse-falso-cretese. L’ipotesi poggia su un verso del proemio: “Di molto uomini vide le città e conobbe i pensieri”: sembra più il viaggio del falso cretese che quello di Ulisse.

Delle 12 Odissee di Calvino parla Piero Boitani nel suo ennesimo libro su Ulisse, che sto finendo di leggere.