Videogame e Letteratura: il paragone impossibile

Da parecchio rimugino questa idea del possibile valore letterario e narrativo dei videogame. La Lipperini e compagnia sostengono da anni che i videogame sono una delle forme della letteratura di domani (e anche di oggi). Poi, l’altro giorno, alla Blogfest, Federico Fasce ha fatto una chiara esposizione delle teorie e delle posizioni in merito, sicché mi decido ora a dire la mia.

Intanto trovo che ci sia una confusione diffusa, nel parlare di "valore narrativo" o di "narrativa" tout court relativamente ai videogame. La confusione sta nel fatto che mi pare non si distingua tra autore e fruitore/lettore/spettatore della narrazione – qualunque sia la forma della narrazione: romanzo, cinema, racconto orale, fumetto etc.
Non è un cavillo. C’è chi produce, crea le storie e chi le legge, le fruisce. Sono due esperienze molto ben distinte; e restano due esperienze ben distinte anche quando c’è interazione tra lettore (dico "lettore" per brevità) e autore, tra lettore e storia. C’è però anche un caso in cui questi due ruoli non sono distinti, ed è appunto il gioco; il che spiega un po’ la confusione, in effetti. Riprendo questo punto più avanti.

Un sacco di gente, come dicevo, sostiene che i videogiochi hanno "un contenuto narrativo": contengono vicende, personaggi, ambientazioni.
Beh, ma questa è la scoperta dell’acqua calda! Il gioco in sé, per sua natura, ha contenuto narrativo! Qualunque gioco. A partire dai bambini che dicono "Facciamo che io ero…", o che fanno dialogare i soldatini e i pupazzi, in compagnia o anche da soli. Fare un gioco significa esattamente calarsi in un ruolo delimitato da certe regole, sapendo che è una finzione. Due dei significati di to play, in inglese – giocare e recitare – rendono bene questo fatto.
Quindi qualunque gioco comporta seguire e inventare una storia; non solo i videogame.

Ma – e qui torno alla distinzione di sopra – il giocatore è uno che crea la storia, da solo o insieme ad altri, mentre la "interpreta"; non uno che la fruisce soltanto. Il gioco ha un ruolo importantissimo nella formazione dell’individuo proprio perché permette di creare una correlazione di tipo narrativo tra fatti e concetti, ed in tal modo di appropriarsene e di rielaborarli. Tra l’altro è così che il bambino "elabora il mondo" appena esce dalla primissima infanzia (almeno secondo Bruner ed altri); ma qui divagherei.

Il punto, insomma, è che il giocatore è un "autore" di una storia fatta esclusivamente per se stesso, una storia che egli "interpreta" ed elabora secondo le regole e la traccia che gli fornisce il gioco. Per quanto la storia che il giocatore crea sia bella, profonda, arguta, è solo lui che la fruisce e solo lui che può apprezzarla. Ogni altro singolo giocatore può al più creare la propria storia. Come può questo tipo di esperienza essere confrontabile con quella del lettore, il cui piacere e il cui arricchimento vengono proprio dal fatto che un’altra persona ha trasferito le proprie conoscenze e il proprio talento in una storia compiuta(*)?

C’è chi sostiene che i resoconti delle partite giocate – o i replay – possano essi essere il prodotto narrativo che esce dal videogioco. Ma, a parte il fatto che tali resoconti sono al più racconti tradizionali – o filmati tipo cartone animato(**) – e quindi rientrano nelle forme narrative tradizionali, è ben arduo immaginare che un giocatore – che giochi per il proprio diletto e non al fine di creare una storia per altri – possa produrre un resoconto della propria partita che sia interessante anche per altri. E in ogni caso, come dicevo, questo resoconto-racconto, scritto o filmato, sarebbe un testo o un video, cioè una forma narrativa tradizionale. Non un videogame.

D’altra parte, se un grande scrittore o sceneggiatore intendesse scrivere la traccia narrativa di un videogame, allora i casi sono due: o quella traccia sarebbe così rigida da rendere il gioco una sorta di cartone animato(***); oppure, tanto più margine interpretativo e creativo è lasciato al giocatore, tanto meno il valore dell’autore che ha creato la trama e il testo ha peso nell’esperienza di gioco.

Detto questo, non nego certo che potranno esserci in futuro giochi "d’autore", destinati ad un pubblico delimitato; né escludo che l’esperienza del gioco dentro "ambienti" 3d fortemente strutturati e visivamente raffinati sia una cosa che arricchisca il giocatore e il suo immaginario. 
Ma vorrei ripetere che il valore della letteratura (scritta o visiva) sta nel fatto che c’è una persona – l’autore – che è capace di dire e raccontare cose che gli altri non saprebbero immaginare o raccontarsi da sé. La letteratura nasce, del resto, come veicolo della conoscenza.

In conclusione, noterete che non ho fatto cenno alla qualità letteraria presente nei videogame prodotti fino ad oggi (ne conosco abbastanza, anche se non sono aggiornatissimo): le trame, lo stile narrativo, il contenuto delle storie che fanno da traccia ai giochi in commercio, beh, potrebbero forse essere valide per un adolescente abbastanza illetterato; e del resto il target immagino sia quello. I videogame "d’autore" – o comunque con un minimominimo di qualità testuale – se mai ci saranno, sono ancora di là da venire. O almeno così mi risulta. Poi, per carità, anche nella letteratura scritta ci sono montagne di porcate orrende che vendono tantissimo…

(*)Esistono esempi di "romanzo aperto", certo, ma anche in quei casi è ciò che è scritto ad avere un valore in sé, anche o soprattutto per la propria ellitticità.
(**) I Machinima sono cose di questo tipo; oppure filmati del tutto estranei alla trama del gioco creati usando il motore grafico del gioco stesso. Ma sono filmati, non giochi.
(***) Max Payne o Vampire the Masquerade sono esempi di gioco con una trama abbastanza rigida; anche se chiaramente lo spazio per l’azione di gioco, tra un pezzo e l’altro del racconto, è ampio.

9 commenti su “Videogame e Letteratura: il paragone impossibile”

  1. @utna: come ho scritto, non credo che il videogame possa essere un valido medium “letterario” poiché ogni margine di arbitrio sottratto all’autore è un impoverimento. quanto ai videogame esistenti, non mi pare ce ne sia nessuno che, come plot, si avvicini anche lontanamente alla sufficienza.

  2. @darkripper: “interpretare” il personaggio può dare forte immedesimazione, ma non necessariamente maggiore: seguire passivamente una voce narrante senza dover creare la sua storia permette un abbandono che ogni lettore ben conosce e che può dare un’immedesimazione quasi ipnotica. e comunque, non necessariamente una grande immedesimazione è un fatto positivo, nella fruizione di una narrazione.

  3. raibaz: non ho detto che una sceneggiatura che lascia del margine d’azione al giocatore sia opera di uno sceneggiatore scarso, ho detto che la bravura letteraria dello sceneggiatore si vede sempre di meno quanto più il giocatore ha libertà di crearne varianti.

  4. PTWG: ho specificato ciò in una delle note. ci sono romanzi aperti, o con apparenti cesure nella trama (es.: Calvino, Beckett, Pynchon etc.); ma anche in tal caso la lacuna o l’incompletezza della trama sono più che altro “significanti”, elementi stilistici. se si parlasse di musica sarebbero silenzi.

  5. Quindi convieni che la narrazione è praticamente in ogni gioco, online o meno.

    Ma dove c’è narrazione, dico io, ci possono esser contenuti letterari (anche se non necessariamente ci sono).

    Se dici che si raggiunge un decente livello “letterario” di qualità solo in una strettissima minoranza dei videogiochi allora mi trovi pienamente daccordo. Se invece escludi che nei videogiochi ci possano esser contenuti letterari, come mi pare tu faccia, allora siamo fuori strada, e aggiungerei poi che le forme tecniche della narrazione (libro, teatro, psicodramma, storia interattiva, gioco a trama lineare e non lineare etc.) non determinano necessariamente il valore letterario o la qualità dei contenuti narrati, anche se è ovvio che i generi più antichi (ed il cinema) siano i soli per ora ad aver prodotto arte immortale. Non varrebbe sostenere che siccome i giochi elettronici sono un prodotto di consumo e di divertissment, essi siano ineluttabilmente fuori dall’olimpo delle arti espressive, perchè la metà delle arti ufficiali e tutte le arti minori sono nate così. E’ altresì evidente, già oggi, che alcuni prodotti dell’immensa industria dei videogiochi surclassino a livello di qualità narrativa e letteraria i prodotti della fiction tv e in alcuni casi persino del cinema (per non parlare della narrativa). Difficilmente la narrazione in un gioco di argomento fantascientifico potrà esser più cialtrona e noiosa di un indipendence day, mentre un gioco come Torment è un piccolo gioiellino di narrativa (http://en.wikiquote.org/wiki/Planescape:_Torment).

    Utna

  6. Disclaimer: non faccio parte di quelli che sostengono che i videogiochi sono forme d’arte. Mi limito a notare se stanno evolvendo come forme narrative.

    C’è una differenza grossa da fare, tra i videogame come forma di narrazione lineare e videogame sandbox in cui il giocatore crea la storia dinamicamente sulla base delle sue azioni.

    Bioshock o Half Life raccontano storie estremamente lineari. Dirai “perchè allora non farne un film?” beh, io credo che controllare un personaggio, anche solo guardando con i suoi occhi, sia la forma di immedesimazione più potente che esista. Cinema e letteratura intimidiscono al confronto. I videogiochi sono giovani, ancora non hanno trovato davvero una strada narrativa propria. Spesso copiano dal cinema (che poi ricopia a sua volta :3 ) invece di trovare vie originali.

    E non dimentichiamoci che i vg fanno sul serio narrativamente da pochissimi anni: paragonare Melies a Kubrick sarebbe alquanto scorretto non trovi?

    Su una forma di narrazione invece più freestyle per il momento non mi esprimo, visto che vado di fretta e se ne potrebbe parlare per giorni. 🙂

  7. Spunti interessanti, come quelli di ieri sera su Friendfeed.

    Per come la vedo io, uno dei grossi punti di forza del videogioco come medium è che consente di spaziare tra gli infiniti livelli di grigio che vanno dalla narrazione totalmente ‘frontale’, in cui lo sceneggiatore racconta cosa succede e il ‘lettore’ lo fruisce passivamente a quella completamente libera, in cui, almeno idealmente, il giocatore è libero di fare tutto ciò che vuole e diventa unico autore della narrazione ludica.

    C’è da dire, però, che così come risulta noioso per l’utente un approccio totalmente frontale, credo che venga a noia anche un approccio totalmente a sandbox, per usare un termine di moda: tanto per fare un esempio, in GTA IV si può fare praticamente tutto quello che si vuole ma si finisce a non fare niente, persi nello straniamento delle troppe possibilità, e dopo qualche sparatoria gratuita il gioco viene a noia, così come un gioco tra bambini in cui è possibile dire “facciamo che io sono invincibile”.

    Morale, non credo che una sceneggiatura che lascia del margine d’azione al giocatore sia opera di uno sceneggiatore scarso: secondo me parte della bravura di uno sceneggiatore (o, più propriamente, di un game designer) sta nel dosare le possibilità e le limitazioni che l’universo di gioco offre al giocatore, trovando un equilibrio tra narrazione ‘attiva’ e ‘passiva’; sono d’accordo che a livello puramente contenutistico le trame dei videogiochi siano, attualmente, piuttosto scarse, ma credo che in termini di bilanciamento tra i due tipi di narrazione ci siano autori di grande valore (Kojima, su tutti).

    P.s.: ho scritto un post proprio sulla contrapposizione tra il cazzeggio di GTA e la narrazione ‘costretta’ di Metal Gear Solid 4, se ti interessa 🙂 http://www.raibaz.com/2008/09/metal-gear-solid-4-vs-gta-iv-approcci.html

    Raibaz

  8. Bellissima esposizione con molti spunti, ma non concordo in una cosa. Se il fruitore nei videogiochi ha un ruolo attivo (può decidere, entro certi limiti, di allungare-accorciare-dilatare o semplicemente reintrepretare parte della storia) anche il lettore di libri può sopperire ad una eventuale storia monca con dettagli da lui inventati – diventando comunque regista di una storia personale. Più difficile è farlo con i film, che hanno bisogno di un fruitore passivo. Quindi a mio avviso i videogiochi e la letteratura (di basso profilo, eh) possono essere in qualche modo equiparati rispetto al cinema.

  9. Se penso ai miei figli, se mai ne avrò, che vanno a dormire soddisfatti per aver vinto una partita di calcio alla play station, mi verrebbe da progettare un attentato terroristico ai danni di lor fautori.

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