Infine, un libro di Paolo Nori, io l’ho letto. Non ero costretto a farlo; non è stato il pegno di un giuoco perduto né l’adempimento al voto per una grazia ricevuta. Io, "Noi la farem vendetta" – ovvero l’ultimo libro per l’appunto di Paolo Nori – l’ho letto volentieri, con grate aspettative e senza fatica.
Bisognerà dire, anzitutto e tassonomicamente, che questo libro non è un romanzo. E già, così precisando, siamo a buon punto. Dire cosa sia, parrebbe altrettanto opportuno; ma meno agevole. Ha senso, infatti, usare una categoria (romanzo, saggio, diario, epistolario, j’accuse, tragedia, bolla di scomunica o che) se se ne individua una acconcia tra quelle note e attestate. A che scopo definire ex novo una categoria calzante, la quale giocoforza conterrà il solo elemento sul quale la si è tessuta? Fo dimolto prima a definire direttamente di cosa consista l’elemento in questione. No?
Ora, dire di cosa consista un libro è còmpito di per sé incluso di default nella scaletta di una recensione fatta a modo, urbana e civile. Dunque direi che questo incaglio posso zomparlo senza altri complimenti. (Ci sarebbe il fatto che questa non è una recensione, ad incrinare la logica di quanto su detto; ma questo basta tacerlo; la critica letteraria si nutre di omertà, è un fatto.)
Per venire infine al dunque, Paolo Nori ci dice che da tanto tempo pensava di scrivere qualcosa sui Fatti di Reggio Emilia. Non c’è motivo di dubitarne; ed infatti ecco che quel libro, egli, l’ha scritto (e Feltrinelli l’ha pubblicato, 191 pagg., 15 euro). "Noi la farem vendetta" parla infatti – soprattutto – di quella vicenda (ci vorrà un link per i più giovani, credo) avvenuta nel 1960 e subito divenuta parte dell’epica, della liturgia e dei rituali della Sinistra storica (e anche "sinistra storica" forse occorrerebbe ricordare cosa significhi… Prenderò in considerazione la possibilità di accorpare un glossario – ahimé!).
Strumento fondante della creazione di un’epica dei Fatti di RE è stata senza dubbio alcuno la canzone di Fausto Amodei "Per i morti di Reggio Emilia". Se esistesse una canzone parimenti azzeccata per la strage di Portella delle Ginestre, per dire, o per Piazza Fontana, o per Pio La Torre, anche quegli eventi avrebbero avuto un peso diverso nella liturgia della Sinistra storica e nella memoria di alcune generazioni – sorvolando sul fatto che nel frattempo la Sinistra storica è scomparsa, sic transit gloria mundi.
Ordunque, Paolo Nori ha vissuto il tempo ed il luogo adatti per sorbirsi la liturgia e l’epica della Sinistra storica (lo stesso dicasi per me, per altro). Naturalmente, ora che è diventato grande ed è persino babbo di una bella bambina, lo scrittore parmigiano sa bene dove finisce la storia e dove inizia la retorica, riguardo a vicende come i Fatti di RE. "Noi la farem vendetta" è obiettivo al limite dell’innocenza, nelle parti in cui si raccontano premesse, accadimenti e séguito di quel giovedì 7 luglio 1960, quando la Polizia attaccò in forze una manifestazione di piazza contro il governo Tambroni, sparando contro la folla. Cinque morti e tot feriti. Un eccidio di Stato, freddamente pianificato. Insomma, i fatti sono fatti, c’è poco da fare retorica ma è d’uopo far memoria.
Ho dimenticato di dire una cosa che forse andava detta subito (pardon): il libro di Paolo Nori non parla solo dei Fatti di RE; anzi, direi che ne parla marginalmente. Parecchio ma marginalmente. In effetti egli, l’autore, parla di sé, di come fa il babbo e di come canta le canzoni anarchiche dell’800 ad Irma, la sua bimba. In una di queste canzoni, "Figli dell’officina" (che a dire il vero è del 1921), c’è il brano che dice "Dai monti e dalle valli/ giù giù scendiamo in fretta,/ con queste man dai calli/ noi la farem vendetta"; e tante altre strofe piene di propositi belluini e guerresco ardore. Questi anarchici dell’800 erano incazzati neri, si sa; persino nel 1921. Probabilmente alla loro violenza ornata di fieri mustacchi, noi, che generalmente la disapproviamo, dovremmo esser grati, a posteriori. Nondimeno la disapproviamo, è pacifico. Siamo pacifici.
Anche Paolo Nori la disapprova; e in più, ora che è divenuto babbo, la sua visione del mondo si è fatta, da pessimistica, ottimistica. E ciò ci riferisce in questo libro, benché questo mio soggettivo riassunto sia a tal proposito colpevolmente tranchant.
Aggiungo infine (no, il glossario non lo faccio; i giovani si arrangino; sono giovani apposta), aggiungo, dicevo, che, come c’era da aspettarsi, lo scrittore parmigiano usa anche in questo suo libro quel suo periodare che si finge un calco di una sbobinatura, di una forma orale impoverita dalla scomparsa delle inflessioni della voce.
Ora, a me "Noi la farem vendetta" è piaciuto; lo giuro. Ne condivido persino il senso, in parte.
Però quel modo di scrivere finto naïve, che a volte ricorda i temi dei bambini delle elementari, alla faccia della sintassi, ecco, io purtroppo non lo reggo proprio. Non ne reggo la scorrettezza (a volte ho dovuto rileggere un paio di volte dei periodi nei quali mi ero perso) e non ne reggo la pretesa ingenuità. Prediligo la prosa corretta ed infino barocca – non so se si nota.
Ammetto però che qua e là la prosa di Paolo Nori fa ridere.
Delle canzoni "Per i morti di Reggio Emilia" e "Figli dell’officina", i link mandano ai testi e ai file audio mp3, disponibili online.
emma: suppongo dunque che il recensore della Repubblica dica “birignao” della scrittura di Nori con affettuoso sarcasmo. neh?
le due trame sono connesse in modo piuttosto evidente e in parecchi punti, direi. e Nori è stato positivamente sconvolto dall’avere avuto una figlia, direi (beh, càpita). direi che più che altro il libro parla di quello, anche.
la società civile non rinuncia alla vendetta, neanche nei Codici; tuttavia mi riferisco, come “eccesso di mansuetudine”, a quella specie di non violenza programmatica e assoluta che l’Autore predica alla Figlia (che non intende, per fortuna) e che sa un po’ di rinuncia alla lotta (“chi si estrania dalla lotta/ è un gran figlio di ***”, dicevano nei ’70: nemmen questo condivido, ma insomma…).
volevo dire, mi piace la parola “birignao” e, in questo caso, anche quel che ci sta sotto.
per “eccesso di mansuetudine”, ti riferisci alla rinuncia alla vendetta? (che è anche una lezione che gli vien dall’avere una figlia, e così le due trame si ricongiungono).
no, perché sarebbe anche il fondamento di una qualunque idea di società civile, diciamo così (certo che vengono male ste cose in un commentino, va be’, lasciam stare).
gabri, a quanto pare anch’io gli sono allergico; ma non me ne rallegro, in effetti.
mavi: ocché ttu credi, se mi ci metto le so scrivere a modino, le cose! magari poi il contenuto è scarso, ma del resto sono un ex giornalista. 😛
ma senti come tu hai buttato bene giù questo post.
La tua descrizione del “modo di scrivere finto naive” mi ha fatto accaponare la pelle e poi mi sono venute le bollicine. Sono allergica a quello stile di scrittura.
non condivido l’eccesso di mansuetudine.
“birignao” ha un significato negativo. se è lo stesso Nori a dirlo allora è espressione della sua modestia troppo dichiaratamente falsa.
“ne condivido persino il senso, in parte”:
e qual è “la parte di senso” che non condividi?
sulla repubblica di sabato, in una recensione del n. di panta che nori ha appena curato, veniva definita “birignao”, quella particolare scrittura.
a me piace “birignao”.