Il romanzo nel, per così dire, Terzo millennio

A me, che nel 2005 si vogliano labellare le ‘cose’ del ‘terzo millennio’ (o anche "il/la … del secolo"), a me mi suona ridicolo – e pazienza finché lo fanno i giornalisti, le cui parole volano nell’arco di 24 ore.
Ciò nondimeno volevo linkare la proposta di Davide Bregola, il quale chiede a chi voglia dargliela (critici, scrittori, lettori) un’opinione sul romanzo italiano prossimo venturo: quale debba essere, quale si preferirebbe fosse, quale ci si rammarica che si preannunci.

Ha senso cercare di stilare questa sorta di manifesti programmatici? No.
O meglio: non ha senso se deve essere un ‘dettare la linea’ in stile anni ’70 (anni ’60, anni ’50): sono operazioni che, se malauguratamente hanno successo, ottengono solo di a) favorire la pubblicazione di opere sterili; b) (soprattutto!) ostracizzare pregiudizialmente chi non si allinea.

Può aver senso invece come pretesto per parlare di generi (anche se oggi un sacco di gente odia parlare di generi), di finalità della scrittura narrativa, di panorama delle nazionali lettere. E’ anche vero che questa cosa del pontificare su cosa si debba o non si debba scrivere produce montagne di bit (e collinette di inchiostro) che passano e vanno più o meno come le parole dei giornalisti di cui sopra.

Tutta ‘sta premessa è probabilmente solo l’excusatio non petita (ay!, culpa manifesta) del fatto che io avrei un’idea di cosa mi piacerebbe leggere. Ma sottolineo: di ciò che come lettore mi piacerebbe leggere, cioè di cosa vorrei che si scrivesse in più, che si scrivesse anche. Lungi da me il dire agli scrittori cosa scrivere o cosa non scrivere; però, agli scrittori che hanno un’affinità coi miei gusti, vorrei dire: presente! se scrivete quella roba lì io vi leggo.

Quella roba lì ho già detto in passato in cosa consista: l’ho detto qua e anche qua. Aggiungo magari anche ciò che ho detto qua, verso la fine (ops! non è in archivio; allora riassumo: narrativa che fa inchiesta; che, con la libertà della finzione, dice ciò che il giornalismo non dice quasi più su fatti reali, importanti, politici).

Poi magari mando anche la mail che Bregola chiede per contribuire al suo ‘sondaggio’. Accidia permettendo.

6 commenti su “Il romanzo nel, per così dire, Terzo millennio”

  1. rispondo qui a cyrano66, che ha commentato un post di un mese fa (da me linkato, invero)

    sì, è chiaro che gli scrittori che scelgono di mettere nelle loro opere argomenti tecnologici e scientifici lo dovranno fare da scrittori, non da divulgatori. e naturalmente l’idea di trovare quel tipo di temi trattati dalla narrativa viene dal considerare come certi aspetti, presenti e prefigurabili, del progresso scientifico abbiano e avranno un’influenza significativa nella quotidianità sia dei singoli che delle società; quindi agli scrittori ha senso chiedere una analisi – nella forma peculiare della narrazione – di tale influenza – ma partendo da cognizioni precise.

    immaginiamo per esempio un paese africano in cui viene fatta una campagna massiccia di informatizzazione(*): che succede? fallisce? cambia i rapporti sociali? incentiva l’emigrazione? ci si può fare una storia, però bisogna sapere di cosa si parla.

    (*) prendendo spunto dal computer a manovella da 1 dollaro messo a punto dall’ONU.

  2. @ fulvia

    ma che stai a scherza’?

    seriamente, uno potrà non apprezzare i numerosissimi romanzi italiani usciti negli ultimi 10 anni, però sono – appunto – numerosissimi, e non solo editi da case minori.

    @marco c*nd*da

    ehilà! come mai semicripti il tuo nome? c’è uno spam-bot che ti insegue?

    cmq, ok, leggo qualcosa; così almeno non lascerò in giro giudizi basati su didascalie 😉

  3. esistono ancora i romanzi italiani? a me tranne ammaniti piacciono pochissimi scrittori italiani

    Ps se non ti spiace vorrei linkarti nel mio blog “bibliotecario”

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